La foto del bimbo filippino che per strada fa i compiti alla luce del lampione, fa il giro del mondo e lo commuove. Forse perché quel bimbo rifugge da quel diploma di vittima che tanto spesso è gran parte del nostro curriculum vitae. Lui non dà la colpa al governo, alla storia, allo stato, ai genitori, alla razza o alla sorte.
Josif Brodskij, che fece un memorabile discorso in proposito all’Università del Michigan, ne sarebbe fiero. Lui che venne condannato in URSS per parassitismo sociale diceva che la parte del nostro corpo che più dobbiamo temere è il nostro dito indice, perché ha la mania di incolpare gli altri.
Il diploma di vittima all’inizio è tanto comodo ma alla lunga rivela una volontà debole, quella di chi non vuole cambiare le cose. “Sono una vittima” è la carta d’identità della parte debole della nostra personalità, quella che non vuole cambiare sé e gli altri. Quella parte che se passasse il buon samaritano non si farebbe caricare e portar via ma direbbe di lasciarci lì, a terra. Sì, è un po’ sporco, poco dignitoso, ma è una scomodità tanto comoda. Se sei a terra non hai responsabilità, pesi, colpe. Sono a terra, lasciatemi in pace.
Come invece mostra il bimbo delle Filippine, la vittima vera ha una grande dignità. Guardate quella matita come sta lì ben dritta: è in parallelo con la sua schiena. Mostra una volontà non piegata dalle circostanze. La personalità di uno che, prima o poi, troverà la luce elettrica e cambierà il mondo. In tempi di default altrui o nostrani, di gente che invece di guardare la realtà addita le misteriose lobbies della finanza mondiale, quel bambino guarda lontano. Forse per questo così tanti lo ammirano.
Un insegnante di ginnastica mi spiegava che le mamme dei bimbi disabili finché è possibile non chiedono mai di esonerare i figli dall’ora di palestra perché i ragazzi ci vogliono provare. E, aggiungeva, spesso invece chi arriva con i certificati degli esoneri sono quelli che non hanno cose gravi ma semplicemente non ne hanno voglia. Termino qui, senza conclusione. Questa volta è davvero superflua.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost