Nell’ambito della dottrina islamica dei diritti umani, come scrive Michael Hudson, la domanda che dobbiamo porci non è quella rozza e falsamente dicotomica, “l’Islam è compatibile con lo sviluppo politico?”, ma “quanto dell’Islam e che tipo di Islam è compatibile con (o necessario per) lo sviluppo politico del mondo musulmano?”[1]
Per comprendere ciò che è accaduto in passato e avviene oggi nel mondo musulmano, dobbiamo renderci conto dell’universalità e della centralità della religione come fattore principale della vita dei popoli arabi. A differenza di altre grandi religioni del mondo, sin dai tempi del suo fondatore l’Islam è lo Stato. L’identità di religione e Stato è impressa in maniera indelebile nella memoria e nella coscienza dei fedeli, grazie alle sacre scritture, alla comune storia e al vissuto quotidiano. Per i musulmani, la religione ha costituito la base sostanziale e il punto focale dell’identità e della lealtà.
Solo attraverso tale premessa è possibile comprendere in profondità le Carte dei diritti umani prodotte dai paesi arabo-islamici. In tale dibattito, si è assistito alla nascita di molte posizioni, tra le quali si possono distinguere tre linee direttrici principali: conservatrice, adattamento pragmatico e riformista, fermo restando le numerose sfumature che si trovano all’interno di ogni filone.[2]
In estrema sintesi:
Un ruolo rilevante nell’ambito della dottrina dei diritti umani è svolto dalla diversa cultura politica e giuridica dell’Occidente e dell’Islam, elementi che costituiscono il vero punto di partenza per un confronto.
In Occidente, la storia dei diritti umani ha il suo punto centrale nel processo di secolarizzazione, ossia nella progressiva perdita dell’origine religiosa dei diritti e nell’assunzione, quale loro fondamento, dapprima del diritto naturale razionale, poi della legge e infine della Costituzione. Nell’Islam questo processo di secolarizzazione non è avvenuto; al contrario, le prassi giuridiche e politiche sono caratterizzate e legittimate dalla loro aderenza al dato religioso, e a sua volta la religione, disciplina l’ordinamento giuridico della società musulmana.
Ciò che emerge nel recepimento dei diritti umani nel sistema giuridico islamico è che la legge di Dio rappresenta la base immutabile del diritto positivo, la volontà divina, che regola le società umane, non può essere influenzata dalla contingenza dell’evoluzione storica. Il ruolo del giurista non è quello di elaborare nuove regole, ma quello di scoprire quale sia il contenuto della volontà di Dio che è già stata rivelata, ed è, pertanto, ferma e immutabile in attesa di essere compresa e accettata.
Il dibattito intorno alla questione dei diritti umani s’incontra e si scontra con il contenuto della Sharia, in merito a: libertà religiosa, diritto alla vita, libertà di pensiero e di espressione, diritto alla famiglia e alla discendenza e diritto di proprietà.
Si nota una immediata differenza: in Occidente l’uomo è dotato di diritti per il solo fatto di essere un uomo, mentre nei paesi islamici il fulcro di tutto è Dio, ed è Lui a determinare diritti e doveri.
In merito, An’Naim afferma: “La tradizione occidentale sui diritti dell’uomo si basa sui due concetti fondamentali: l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani e la loro uguale libertà. Il diritto musulmano classico si articola, invece, in conformità a tre basilari relazioni di disuguaglianza: tra uomo e donna, tra musulmano e non musulmano, tra libero e schiavo, anche se quest’ultima distinzione è generalmente considerata superata dagli stessi giuristi e intellettuali.” di Severis
[1] An-Naim A. A., Riforma islamica. Diritti umani e libertà nell’Islam contemporaneo, Editori Laterza, Roma-Bari 2011, pag. 251.
[2] Pacini A., (a cura di), L’Islam e il dibattito sui diritti dell’uomo, Edizione Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1998, pag. 7 ss.
[3] Walid Sayf, Diritti dell’uomo e ritorno alle origini dell’Islam, in Pacini A., (a cura di), L’Islam e il dibattito sui diritti dell’uomo, op. cit., pag. 66.
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