Giuseppe Di Matteo aveva 13 anni. Fu tenuto sotto sequestro per oltre due anni e poi barbaramente ucciso dai boss mafiosi nel 1996
Condannati anche in sede civile per l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, i boss non pagheranno un euro, visto che il loro patrimonio è sequestrato; ma l’entità della somma, 2,2 milioni che saranno versati alla mamma e al fratello della vittima, e le motivazioni del giudice di Palermo Paolo Criscuoli, chiudono uno dei casi che più hanno fatto scalpore nelle vicende di mafia: Giuseppe fu rapito a Piana degli Albanesi il 23 novembre 1993, quando non aveva ancora 13 anni. Un commando che indossava divise delle forze dell’ordine disse al bambino che sarebbe stato condotto dal padre, Santino Di Matteo, mafioso pentito che in quei giorni aveva cominciato a collaborare con la giustizia inchiodando, fra l’altro, il feroce Giovanni Brusca, boss di San Giuseppe Jato, paese del Palermitano dove Giuseppe morirà, sciolto nell’acido, 779 giorni dopo il suo sequestro.
La mamma della piccola vittima, Franca Castellese, e il fratello Nicola avevano già ricevuto 400 mila euro di provvisionale dopo il processo penale, denaro che sarà sottratto ai 2,2 milioni ora stabiliti dal giudice in seguito al procedimento civile che si è aperto nel 2015.
Criscuoli scrive che “è stata lesa la dignità della persona, il diritto del minore a un ambiente sano, a una famiglia, a uno sviluppo armonioso, in linea con le inclinazioni personali, ad un’istruzione. Beni ed interessi di primario rilievo costituzionale che, pertanto, trovano diretta tutela, anche risarcitoria”. La condanna riguarda il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, Benedetto Capizzi, Cristoforo Cannella, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone e il pentito Gaspare Spatuzza.
“Le condizioni del rapimento – aggiunge ancora nella motivazione il giudice – hanno di fatto del tutto soppresso i diritti del minore; massimo quindi il grado di lesione. Ancora prima dell’omicidio il Di Matteo, tredicenne, è stato privato della libertà personale per oltre due anni. Tale circostanza, in relazione alle inumane e degradanti condizioni di prigionia (si disse il piccolo aveva trascorso gli ultimi sei mesi in una botola ricavata sotto il pavimento di un casolare di campagna, ndr), tanto più in considerazione dell’età del soggetto rapito, rendono di primario rilievo il pregiudizio patito dal Di Matteo”
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