Categorie: Corpus et Salus

La fatica di vincere: Intervista a Vincenzo Nibali

Incontriamo Vincenzo Nibali, il trionfatore del Tour de France, a Lugano dove risiede con Rachele, sua moglie, e la piccola Emma nata a febbraio di quest’anno.

«Per stare in sella ad una bicicletta bisogna avere buone doti di equilibrio, ma in questi mesi ho compreso che l’equilibrio è necessario per tutto, anche per restare seduti in poltrona…».

Incontriamo Vincenzo Nibali, il trionfatore del Tour de France, a Lugano dove risiede con Rachele, sua moglie, e la piccola Emma nata a febbraio di quest’anno. È appena tornato da Calpe, dove con la sua Astana ha sostenuto il primo vero raduno stagionale.

«Io mi considero un uomo molto fortunato – dice il siciliano, autentico punto di riferimento del ciclismo italiano nel mondo –. Ho tutto per essere felice, non mi manca niente, quindi devo solo ringraziare Dio per quello che ho ricevuto in dono…».

Però forse non è tutto rose e fiori…

«Non nascondo che dopo la vittoria al Tour de France la mia vita è radicalmente cambiata. Dopo quel trionfale viaggio in giallo sono finito davvero dentro una giostra, che continuava a girare di continuo e io non ho mai smesso di correre. Ho davvero temuto di non farcela, di essere travolto dagli eventi».

Insomma, occorre sapere riprendere in mano il manubrio…

«Ecco che mi è venuto in soccorso l’equilibrio. Mi sono detto: Vincenzo, manteniamo la calma. Tutti mi volevano, tutti mi cercavano. A un certo punto ho anche pensato di dire di no a tutti. Poi sono tornato sui miei passi: non mi sembrava giusto. Non volevo passare per quello che non sono. Allora ho cercato nel limite del possibile di accontentare le persone che mi mostravano il loro affetto. È stata un’impresa non facile, credetemi».

Mai difficile come vincere un Tour…

«A livello nervoso, molto più difficile il dopo Tour della corsa in sé».

Non ci dirà è che pentito di averla vinta?

«Certo che no. Sono felicissimo di aver vinto e di essere stato trasportato in questo strabiliante gorgo di passioni. La vita di un atleta non è lunghissima, quindi… Molti pensano che correre in bici sia solo pedalare forte e arrivare per primi. Non è così. È tutto un insieme di cose».

Però è comprensibile che chi le dà 4 milioni netti di ingaggio l’anno pretenda molto da lei…

«L’Astana, la formazione del Kazakistan che mi ha scelto come uomo di punta e testimonial, ha esigenze che io ho il dovere di assecondare. Sono diventato la star di questo Paese che guarda all’Italia con interesse, e utilizza il ciclismo e la mia immagine per far conoscere al mondo le proprie risorse, ricchezze e potenzialità».

Ci fa l’esempio di una sua settimana tipo?

«Recentemente sono andato in Giappone per alcuni circuiti organizzati dalla società del Tour de France. Rientro alla domenica pomeriggio su Roma, dormo lì perché al mattino seguente ho un incontro privato con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Poi, all’ora di pranzo, un altro aereo e rientro a Milano. Primo pomeriggio incontro a Bergamo con i bambini del dottor Antonino Cassisi, responsabile della divisione di chirurgia maxillo-facciale dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII con il quale collaboro come testimonial per il progetto “Cycling for Armenia”, fondazione il cui obiettivo è quello di dare un futuro sereno ai bambini dell’Armenia che nascono con malformazioni al volto e che, senza aiuto, non potrebbero curarsi. Poi da Bergamo alla Brianza, per un incontro con la Fsa, uno sponsor del team e alla sera una cena con i vertici della Generali Assicurazioni. Sia ben chiaro, nulla di eroico, ma è innegabile che non sia facile gestire tutti i giorni una simile mole di impegni».

Come l’ha presa sua moglie Rachele?

«Bene. Tanto bene che in pratica tiene la mia agenda e si confronta con i fratelli Carera, miei manager. Insomma, mi facilita di molto le cose».

E le vacanze?

«Sono riuscito a ritagliarmi sette giorni. Tutti per noi. Siamo andati a Dubai. Non era lontanissimo e andava bene anche per mia figlia Emma».

E ora si ricomincia…

«Ho già ricominciato, sono anche un pochino più avanti nella preparazione rispetto a un anno fa. Come si dice in questi casi? Finita la festa, si torna al lavoro. Si sale in bicicletta e ritrovi la pace».

La prima riflessione che ha fatto sul lettino dei massaggi, dopo la vittoria della corsa più importante del mondo?

«Che nulla sarebbe cambiato. Che Nibali stava crescendo ancora un po’. Quella vittoria e quella maglia gialla mi rendevano un atleta ancora più grande, consapevole e mediatico, ma i miei affetti e i miei amici sarebbero restati quelli che mi avevano accompagnato fino a quell’ultimo chilometro».

Non ha mai avuto il desiderio di resettare tutto, come molti atleti spesso fanno?

«No. Io sono così e così voglio restare».

Le piace il percorso del prossimo Giro d’Italia?

«Mi piace. Ma la crono di 60 chilometri, da Treviso a Valdobbiadene, non mi convince neanche un po’».

Anche Fabio Aru non è felicissimo…

«Per niente».

Meglio il Tour?…

«Bello. Mi sembra che come spirito ricalchi quello di quest’anno. Tappe corte e toste. Molti trabocchetti. Ancora qualche insidia con il pavé e poca cronometro. Il giusto necessario».

Certo che i cinque atleti positivi in casa Astana non sono state un bel biglietto da visita, e fino a pochi giorni fa siete stati sul banco degli imputati: licenza in sospeso, il rischio di uscire dal grande ciclismo…

«Per quanto mi riguarda sono sempre stato fiducioso sul responso della Commissione delle Licenze, ma è innegabile che nel team abbiamo vissuto giorni molto difficili. Restare nella Serie A del ciclismo era fondamentale, per poter correre in automatico tutte le più importanti corse del mondo. Uscire dal World Tour significava perdere questo diritto e attendere gli inviti per Giro, Tour e Vuelta».

Che pensa Nibali del doping?

«Mai avuto dubbi: chi tenta di fare il furbo deve pagare, anche con multe salatissime. O la radiazione o il portafoglio: non ci sono mezze misure. Però lo ripeto: tre positività erano della squadra giovanile, che della nostra porta solo il nome. Ed è stata immediatamente chiusa. I due fratelli Iglinskiy hanno fatto una grandissima sciocchezza e per questo sono stati licenziati. Ora abbiamo la licenza, ma saremo controllati a vista: è giusto che sia così».

Paolo Slongo, il suo allenatore, dice che su di lei ormai c’è poco da migliorare…

«Ma da perfezionare sì. E visto che io sono un maniaco della perfezione, mi cimenterò in questo. Con passione ed equilibrio».

 Intervista pubblicata da ” Avvenire ” e realizzata da Pier Augusto Stagi

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