Nell’estate del 1981, durante il primissimo periodo delle apparizioni a Medjugorje, la vita, non solo dei veggenti, ma anche la gente del paese, fu messa a durissima prova. In particolar modo le persone che abitavano a Biakovijci, il villaggio dei ragazzi, furono il bersaglio di molti sopprusi da parte della polizia.
MARINKO IVANKOVIC IL PRIMO ARRESTATO
Il primo a subire interrogatori e maltrattamenti da parte della Polizia fu Marinko Ivankovic. Sin dal 25 giugno aveva cominciato a difendere i ragazzi e dar loro suggerimenti. Alcuni giorni dopo, precisamente il 30 giugno, i poliziotti andarono a casa sua e lo portarono al loro Comando.
Lo sottoposero ad un duro interrogatorio per l’intero pomeriggio. Poiché non aveva da dire nulla a danno dei ragazzi, uno dei poliziotti cominciò a gridargli contro, a minacciarlo, fino a che, durante l’interrogatorio notturno, gli diede dei potenti pugni sul viso.
A quel punto Marinko non rispose più a nessuna delle domande che gli facevano. Quella notte, i veggenti, saputo del suo arresto, andarono dalla Polizia per discolpare Marinko, e che si offrivano di andare in carcere al posto suo. Il mattino seguente venne rilasciato.
Continuarono a sospettare di lui anche in seguito e, di tanto in tanto, andavano a prenderlo a casa per portarlo a Mostar ed interrogarlo, cercando di avere informazioni e ricavarne eventuali accuse contro i veggenti.
REPRESSIONE E TENTATIVI DI SCORAGGIAMENTO
La polizia cominciò a perseguitare anche le persone che arrivavano a Medjugorje. Il 1° luglio del 1981, la polizia mise dei blocchi all’ingresso del paese, a circa 2 km dalla chiesa. Chi arrivava in macchina veniva schedato, inoltre era costretto a tornare indietro, oppure doveva lasciare la macchina e proseguire a piedi. Lo scopo era quello di scoraggiare pellegrini che arrivavano a Medjugorje, creare insofferenza verso i veggenti e i strani fenomeni che avvenivano in paese.
GOJKO OSTOJIC IN CARCERE
Un giorno venne fermato anche Gojko Ostojic, il tassista del paese, che stava tornando a casa. Ne nacque una discussione, per il fatto che doveva lasciare la macchina all’ingresso di Medjugorje. Alla fine, se ne andò via a piedi verso casa.
La mattina dopo, andarono a casa sua a prenderlo, lo portarono a Citluk e lo giudicarono per direttissima. Venne condannato a 60 giorni di carcere, che poi si tramutarono in 3 anni, con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e violazione all’ordine pubblico.
Andò in prigione e ogni giorno veniva condotto fuori, con altri, per lavorare in cantieri edili di Mostar, a favore dello Stato. Per le fatiche del lavoro e lo stress psichico s’ammalò e venne ricoverato in ospedale.
Sembrava una cosa molto seria per la sua salute, per cui, un paio di mesi dopo venne rimandato a casa. La prima cosa che fece fu quella di andare in chiesa e ringraziare Dio e la Madonna.
“Stranamente” e velocemente guarì dal male che lo aveva colpito. È convinto che la Madonna scelse la strada più giusta per tirarlo fuori dal carcere.
LA MADONNA È QUI PER DAVVERO
Un altro che finì in carcere fu Ivan Ivankovic, che era il figlio di Petar (Pero) e Josipa, nonché cugino di Vicka.
In una assemblea, tenuta l’11 agosto, dove erano presenti alcuni responsabili locali del Partito, dopo che per due ore avevano cercato di convincere le persone presenti che le apparizioni erano una invenzione dei frati, lui ebbe il coraggio di dire che la Gospa era davvero apparsa nel loro paese, e che era lì, anche in quel loro incontro.
La sera stessa andarono a casa sua a prenderlo. Lo portarono presso la stazione di polizia. Cercarono di fargli ritrattare quanto aveva detto, ma lui si rifiutò. Lo accusarono quindi di aver diffuso false notizie.
Lo misero in carcere e anche lui venne mandato a lavorare come muratore nei cantieri edili. Durante l’apparizione del 29 agosto, i veggenti chiesero come stava Ivan in prigione.
La Madonna li tranquillizzò dicendo: ”Sta bene. Sopporta tutto. Tutto questo passerà
Dopo 2 mesi di carcere e duro lavoro venne rimandato a casa. Non si pentì mai d’aver difeso i veggenti e di aver confermato la veridicità delle apparizioni, inoltre è sempre stato persino fiero dell’esperienza di aver subìto il carcere e il duro lavoro.
RISCOPERTA DELLA FEDE E CONSEGNA DELLA TESSERA
Altre persone finirono in carcere, sempre per la ragione che le autorità volevano intimorire chi cominciava a credere ai fatti di Medjugorje e voleva andare in quel luogo. La repressione cominciò a luglio, motivata dal fatto che l’ateismo faceva parte del comunismo jugoslavo.
Non ne volevano sapere di fede e di religione. Ma soprattutto perché molti cristiani, dopo questi avvenimenti, riscoprivano la loro fede e, vedendola in contrasto con il comunismo in cui avevano sempre creduto, si cancellavano dal Partito e riconsegnavano la tessera. Cosa, quindi, che doveva essere combattuta con le minacce e la repressione.
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