Oggi proprio tutto parla di Immacolata.
Il sole, l’assenza di vento eccessivo, soprattutto la liturgia, il sorriso velato e gli scherzi accennati tra confratelli. Passeggiando in campagna – forse ero un po’ troppo concentrato nel pensare alla Messa di stamattina e all’articolo che sto scrivendo – sembrava che perfino i campi cantassero all’unisono un coro alla Vergine.
Stamattina mi sono alzato molto presto per scrivere l’omelia e ho messo come sottofondo Le quattro stagioni di Vivaldi. L’ho fatto mezzo addormentato, ma quando è arrivato il terzo movimento (Allegro) dell’Autunno ho pensato – scusa l’accostamento probabilmente indebito – al Monte Rosa, al Cervino, alle Tre Cime di Lavaredo, a qualche pista (non troppo difficile) con gli sci sulla neve, alle ultime rampe che portano in bicicletta al Passo Bernina partendo dal lago di St. Moritz: insomma alla creazione intera.
S. Anselmo d’Aosta esalta Maria santissima poeticamente, ma con profondità teologica che tocca il cuore: “O donna piena e sovrabbondante di grazia, ogni creatura rinverdisce inondata dal traboccare della tua pienezza. O vergine benedetta e più che benedetta, per la cui benedizione ogni creatura è benedetta dal suo Creatore, e il Creatore è benedetto da ogni creatura”. Pensa: ogni uomo, ogni donna, anche l’anziano rugoso di anni, anche lo schiavo del bere e della droga, pure la ragazza che non sa allontanarsi dalle macchinette, il bullo più ostile. Tutti. Ogni creatura torna come un virgulto sotto gli occhi di Maria e, aggiungo io un po’ arditamente, se il Padre (che è Misericordioso) dovesse avere qualche dubbio, grazie a Lei si affaccia dal balcone, corre per le scale e stritola nell’abbraccio del perdono anche il più incallito peccatore. Qui ci merita un bell’Alleluia a coro e trombe spiegate. di Handel
Mentre ascolto il sottofondo di Handel sono profondamente indeciso se rimanere voltato verso le montagne solenni davanti alla mia scrivania o girarmi verso… il comodino. Lì so che mi attende una parte di vita molto più scomoda e dolorosa. Per farmi capire devo prima introdurre una cosiddetta figura retorica: l’ossimoro. Questa parola strana ha un’etimologia, un origine ancora più stramba: in greco vuol dire «acuto sciocco». Così. È come se la mamma ti dicesse “affrettati lentamente”. Oppure, in modo molto più adatto alla serietà della parola, Salvatore Quasimodo, nelle Lettere alla madre, scriveva che “gli alberi si gonfiano di acqua, bruciano di neve”. Anche se sappiamo tutti che la neve non brucia, certamente il verso del poeta ha seminato qualcosa nel nostro cuore.
Perché l’ossimoro. Per il semplice motivo che in queste settimane, alla sera prima di addormentarmi, sto leggendo due ossimori: Crudele dolcissimo amore e Oscura luminosissima notte. In copertina al primo libro una foto dell’84 con una simpatica ragazza sorridente. Sovrasta il secondo libro un cielo che minaccia temporale e una piccola donna, di schiena, in carrozzella. Si parla di un amore: soprattutto quello di Dio per Chiara, ma anche di quello spassionato e a tratti giocondo della prima Chiara. Ma di un amore che è al tempo stesso crudele (non lascia tregue, incide con il bisturi fino ai nervi più scoperti e al cuore) e dolcissimo: Dio, per Chiara è “il Socio” a cui non può e soprattutto non vuole rinunciare. È l’Amore della sua vita. L’unico che permette di fare in modo che le ferite lancinanti divengano feritoie da cui intravedere una salvezza. Alla vostra lettura tutto il resto del diario del dialogo tra una Chiara malata in modo progressivo, degenerativo e incurabile… e Dio.
Qui incontriamo il primo Francesco: è il nostro amico Francesco di Sales. Lui parla dell’esperienza dell’anima innamorata di Dio. “Ed ecco la meraviglia: infatti Dio propone i misteri della fede alla nostra anima frammisti ad oscurità e tenebre, in modo che noi non vediamo le verità, ma soltanto le intravediamo; proprio come capita qualche volta allorché essendo la terra coperta di nebbia, non riusciamo a vedere il sole, ma vediamo soltanto un po’ più di chiarore nella sua direzione, di modo che, per così dire, lo vediamo senza vederlo, poiché, da un lato, non lo vediamo in modo tale da poter dire semplicemente che lo vediamo, e, d’altro lato, non lo vediamo così poco da poter dire che non lo vediamo affatto; è quello che chiamiamo intravedere.
Tuttavia, questa oscura chiarezza della fede, una volta entrata nel nostro spirito, non per forza di ragionamenti o per forza di argomentazioni, ma soltanto per la dolcezza della sua presenza, si fa credere e obbedire dall’intelletto con tanta autorità, che la certezza che essa ci dona della verità supera tutte le altre certezze del mondo e sottomette talmente tutto lo spirito e tutti i suoi discorsi che, a confronto, non godono più di alcun credito”.
Beccato! Anche qui c’è l’ossimoro…. “l’oscura chiarezza della fede”.
Noi pretenderemmo di sapere tutto, subito e distintamente, ma nella vita… soprattutto nell’amore non è così. Vediamo attraverso, intravediamo, scorgiamo, intuiamo… e ci viene richiesto uno slancio di testa+cuore+volontà che a volte ci scaglia verso altezze vertiginose (nel bene), altre volte verso dispiaceri che scarnificano l’anima e il corpo (e delle volte capita che anche qui stiamo procedendo verso il bene totale).
Mettiamoci allora in ascolto di Benedetto e Francesco nella Lumen Fidei (numeri 2 e 3). Loro parlano della fede e si chiedono: è solo una luce illusoria? ”Eppure, parlando di questa luce della fede, possiamo sentire l’obiezione di tanti nostri contemporanei. Nell’epoca moderna si è pensato che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro. In questo senso, la fede appariva come una luce illusoria, che impediva all’uomo di coltivare l’audacia del sapere. Il giovane Nietzsche invitava la sorella Elisabeth a rischiare, percorrendo « nuove vie…, nell’incertezza del procedere autonomo ». E aggiungeva: « A questo punto si separano le vie dell’umanità: se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga ». Il credere si opporrebbe al cercare. A partire da qui, Nietzsche svilupperà la sua critica al cristianesimo per aver sminuito la portata dell’esistenza umana, togliendo alla vita novità e avventura. La fede sarebbe allora come un’illusione di luce che impedisce il nostro cammino di uomini liberi verso il domani.
In questo processo, la fede ha finito per essere associata al buio. Si è pensato di poterla conservare, di trovare per essa uno spazio perché convivesse con la luce della ragione. Lo spazio per la fede si apriva lì dove la ragione non poteva illuminare, lì dove l’uomo non poteva più avere certezze. La fede è stata intesa allora come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiarare il cammino. Poco a poco, però, si è visto che la luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro; alla fine, esso resta nella sua oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto. E così l’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada. Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla mèta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione”.
Anche il tramonto di oggi non delude: rosso fuoco tra gli alberi spogli. Capolavoro di una giornata di grazia. Qui ci vuole il primo movimento (Affettuoso) del Concerto Brandeburghese numero 5 di Bach.
Augurandoci che anche la nostra vita, anche tra accordi dissonanti, risulti per Dio, per i fratelli e le sorelle… per noi stessiun’armonia stupenda.
don Paolo Mojoli, sdb paomojo@yahoo.it
Link utili: www.donboscoland.it
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