Ethica et Oeconomia

La felicità secondo Sant’Ignazio si può ottenere in quattro mosse! Lo sapevi?

Per amore di tranquillità, sembra che tutti, o quasi, nei discorsi ufficiali si siano messi d’accordo per non toccare quelli che sono chiamati il “temi divisivi”, quali ad esempio: aborto, eutanasia, matrimoni gay, teoria gender, procreazione assistita, utero in affitto, adozione per coppie omosessuali… In realtà questi temi sono toccati – e come! – dalle lobby che li sbandierano come diritti, e lavorano attivamente perché siano introdotti nella nostra legislazione, come lo sono già in molte legislazioni europee e americane. Chi tace (purtroppo) sono i cattolici (ma non tutti), perché non vogliono turbare la quiete, ma mantenere un clima di serenità, lasciando da parte appunto le questioni che potrebbe dividere (i “temi divisivi”).

C’è però un effetto collaterale, perché in questo modo si addormentano le coscienze, le si “anestetizzano”. Questo è il grande problema della nostra cultura post-moderna. Ci hanno detto e inculcato che non bisogna perdere tempo con le domande fondamentali della vita: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Qual è il senso della vita? C’è la verità? Perché cerco la felicità? Esiste la felicità? Che cos’è il bene? E il male? Perché il bene finisce? Perché la morte?… Ci hanno inculcato che porre queste domande è da stupidi, perché (dicono) tanto non ci sono risposte. E noi, invece di piangere come il veggente dell’Apocalisse, che piangeva a dirotto perché nessuno poteva aprire il libro e leggerlo (Ap 5, 4), cioè trovare le risposte, abbiamo detto: «Va bene, accontentiamoci di quello che riusciamo ad avere. Mangiamo e beviamo, tanto domani moriremo. Cerchiamo di portare avanti il più a lungo possibile queste quattro ossa, prima che finiscano nella tomba, cioè nel nulla».

Avendo così rinunciato a porci le domande ultime, anche le risposte, che pure ci sono, scivolano sulla nostra mente come frasi fatte, convenzionali, che non ci dicono più niente. In questo tempo di Natale, ad esempio, la Chiesa ci fa chiede spesso nelle sue orazioni: «Concedi o Signore che, dopo aver… ecc. ecc. … possiamo partecipare alla gioia senza fine», oppure: «…alla felicità eterna». Ma pare che ora a nessuno interessi più quella “gioia senza fine” o quella “felicità eterna”. Siamo troppo presi dai problemi quotidiani, che quelle richieste ci fanno solo ridere. Così il cristianesimo è diventato per molti, moltissimi, irrilevante, non perché abbia perso qualcosa della sua carica dirompente, ma perché gli uomini, soprattutto quelli che stanno bene, hanno smesso di porsi le domande ultime. (Solo chi si è trovato in situazioni estreme, chi ha visto in faccia la morte, allora sì, si pone quelle domande…).

Sant’Ignazio di Loyola ha pensato gli Esercizi spirituali proprio per persone che si ponevano grosse domande: «Che cosa devo fare della mia vita? Che cosa vuole il Signore da me?». Ignazio negli Esercizi “accompagna” l’esercitante in questo cammino dove “lui” deve trovare le risposte, e deve chiederle direttamente a Colui che potrà dargliele. Ignazio per primo ha fatto questo cammino, e perciò è in grado di “accompagnare” altri. Ma bisogna partire dalle domande. Se non ci sono grosse domande, è inutile fare gli esercizi. Il percorso degli Esercizi si articola in una premessa e in quattro tappe. La premessa (detta “Principio e fondamento”) ti dice già tutto l’essenziale, e cioè che la risposta è Dio e le risposte alle tue domande è lui che te le può dare. Devi solo accettare di entrare in dialogo con lui, disposto però ad andare sino in fondo.

La prima tappa è la discesa nell’inferno. Nell’inferno del peccato, di tutto il peccato del mondo, dal suo inizio fino a oggi, compreso anche il tuo peccato. Devi scendere nell’inferno del tuo peccato. Ignazio ti pone anche con l’immaginazione proprio nell’inferno (come Dante), fino a sentire le urla, le bestemmie, il fetore… Perché scendere nell’inferno del peccato e del mio peccato? Perché riaprire storie passate, che sarebbe meglio dimenticare? Perché è solo così che puoi fare l’esperienza della salvezza: sentire che qualcuno è venuto a tirarti su per i capelli dall’abisso in cui eri caduto e dal quale non saresti mai uscito da solo (e qui Ignazio ti dice di andare a parlare con la Madonna, perché ti aiuti Lei, la senza macchia). Così, davanti a Gesù crocifisso puoi allora piangere lacrime di pentimento e di consolazione. Ricevuto il perdono, rinato a vita nuova, capisci che da questo Gesù non ti puoi più staccate. E qui inizia la seconda tappa.

Nella seconda tappa, Ignazio ti fa vedere Gesù che annuncia il regno di Dio e chiama i discepoli, cioè chiama anche te. Ma come? Come san Paolo, anche l’esercitante deve chiedere: «Signore, che cosa vuoi che io faccia? Come devo seguirti?». Ignazio dice: non ti devo dare io la risposta, la devi trovare tu, mettendoti in ascolto del Signore che ti parla. Io ti potrò aiutare a come metterti in ascolto del Signore. Intanto prendi i Vangeli e leggili, leggili e rileggili… Dove senti che arde il tuo cuore, lì fermati… Così questa seconda tappa è come un po’ salire sul monte della Trasfigurazione. È una tappa che è insieme di trasformazione e di purificazione (un po’ come il Purgatorio di Dante). 

Infatti, in ogni pagina del Vangelo che leggi, il tuo animo acquista delle virtù nuove, e nello stesso tempo si purifica dalla mentalità del mondo. Perché se hai lasciato il peccato (Ia tappa), non hai ancora “rivestito Cristo”, non hai ancora “il pensiero di Cristo”, i suoi stessi sentimenti, sei ancora intriso di mondanità. Per questo c’è bisogno di “frequentare” il Vangelo, la persona di Gesù, perché stando vicino a Lui impari a pensare come lui, sentire come lui. Ignazio pone alla fine anche una domanda impegnativa: «Ma sei pronto a soffrire con lui?». Portato dall’entusiasmo, l’esercitante non esita a rispondere: «Certo, Signore, sono pronto!».

Qui però inizia la terza tappa, che è una nuova “discesa nell’inferno”, non più però portato dal peccato, ma portato dall’Amore, «che ha preso su di se il peccato del mondo». È la settimana della Passione. Ignazio invita l’esercitante a fermarsi su ogni dettaglio della Passione di Gesù, come per dire: «Ecco dove porta l’amore vero, fino a prendere su di sé il peccato degli altri, fino a dare la propria vita per gli altri… Sei disposto?». Ultima cena, eucaristia, agonia nel Getsemani, tradimento di Giuda, arresto, condanna, schiaffi, sputi, flagellazione, coronazione di spine, chiodi della croce, grido sulla croce, morte, colpo di lancia, sepoltura… Non è la descrizione di un condannato a morte qualsiasi (ce ne sono stati tanti nella storia), ma è l’inferno umano visitato dall’Amore. E sai che l’Amore non può morire. 



Così passi con lui alla quarta tappa, quella della risurrezione (che corrisponde al Paradiso di Dante). Ignazio è più sobrio, non si stacca dai Vangeli, ma sente la gioia della risurrezione come quella gioia vera, che nessuno potrà più togliere e ti porta già davanti alla “corte celeste”. Così l’esercitante può tornare “sulla terra” della sua vita, della sua giornata, dove sa che ormai non c’è più nulla di insignificante, ma tutto ha un senso, dove tutto ti parla di Lui: la vita, la morte, la gioia, il dolore, la salute, la malattia, la luna, il sole, le stelle, i fiori, gli uccelli… dove «tutto è amore» (Dante, Vita Nova).  Come dice la canzone “La menta va dove và”, cantata da Mina nel 1972: «Arrivi Tu, il mondo è acceso / quello che era mio / tu l’hai già preso / non ci sono per me / esitazioni / ti chiedo solo / se mi perdoni». Quelli che immaginano un sant’Ignazio un po’ arcigno, severo, cosa direbbero se scoprissero che gli Esercizi terminano con una contemplazione «per ottenere l’amore»?



Redazione Papaboys (Fonte www.lanuovabq.it/Enrico Cattaneo)

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