Mentre Netanyahu moltiplica gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi, aggravando il clima di tensione, c’è chi reagisce con l’arma della preghiera: il caso di suor Donatella Lessio. Una coraggiosa storia di protesta pacifica che si ripete ogni venerdì dal 2004.
In Israele l’“effetto Trump” comincia a farsi sentire. A tre giorni dal colloquio – «molto amichevole» – con il neo presidente Usa Donald Trump, Benjamin Netanyahu ha dato il via libera alla costruzione di 2.500 alloggi in Cisgiordania. Il premier israeliano ha imboccato con decisione la via della politica edilizia – «continuiamo e continueremo a costruire» – dopo che la settimana scorsa il Comune di Gerusalemme aveva approvato la costruzione di 566 nuove case nella parte est della città.
I palestinesi hanno bollato la decisione come «una provocazione e una sfida alla comunità internazionale» e l’Onu ha espresso contrarietà per un’azione unilaterale che «rappresenta un ostacolo verso la soluzione dei due stati per due popoli». In un clima di per sé già incandescente, con l’ipotesi del trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv alla città santa sempre più concreta, le ultime mosse di Israele rischiano di far precipitare la situazione.
SUOR DONATELLA LESSIO: UN ROSARIO OGNI VENERDÌ DAL CHECKPOINT AL MURO
Nella vicina Betlemme però, c’è una donna che non si arrende. Si chiama Donatella Lessio, è una suora francescana elisabettina, ha 54 anni e ogni venerdì alle 17.30 (alle 18 d’estate) recita il Rosario lungo il muro che divide Israele dalla Cisgiordania. «Lo facciamo dal 2004, ormai abbiamo imparato a cadenzare i passi sulle decine». Con la religiosa pregano le consorelle, i fratelli delle scuole cristiane lasalliane e spesso si aggrega anche una signora palestinese che abita vicino al muro. Altri palestinesi vorrebbero unirsi alla preghiera ma temono ritorsioni. «Poi ci sono i gruppi di pellegrini: capita anche di arrivare a 200 persone», riferisce suor Lessio.
La processione parte dal check point – «spesso i soldati ci puntano il mitra addosso perché temono cortei di protesta. La nostra arma è il rosario: discutiamo e, infine, c’è chi poi chiede “pregate anche per noi”» –, passa per il monastero salesiano di Betlemme, e risale fino all’icona della Madonna che l’artista inglese Ian Knowles ha dipinto sul muro. «Lì cantiamo il Salve regina. A Betlemme il caldo è impietoso, camminare su e giù per le alture è anche un modo per dire che ci impegniamo, facciamo fatica per la pace».
Per suor Lessio la preghiera è «un’occasione di comunione e di Chiesa». Arrivata a Betlemme nel 2004 – «ho visto con i miei occhi i lavori per le fondamenta del muro e come oggi continuino a tirarlo su, ad esempio nella valle del Cremisan – è responsabile della formazione del personale del Caritas Baby hospital di Betlemme, l’unica struttura della Cisgiordania a occuparsi di bambini. «L’idea del Rosario è nata perché alcuni piccoli che necessitavano interventi delicati sono stati fermati al check point e non hanno fatto in tempo a raggiungere l’ospedale di Gerusalemme. Allora ci siamo chieste cosa potevamo fare: come religiose non abbiamo potere politico ma è nostra responsabilità chiedere il dono della pace, soprattutto in un luogo di divisione».
Così, un venerdì dopo l’altro, suor Lessio prega. «Chiediamo a Dio l’abbattimento dei muri che sono nel cuore di chi ha la facoltà di decidere per la pace in Terra Santa. Preghiamo e, allo stesso tempo, sappiamo che il muro continua a essere costruito.. Invece sarebbe importante venisse abbattuto, così da permettere a israeliani e palestinesi di conoscersi e accettarsi».
Terra Santa, terra di contraddizioni. Nel maggio 2014 papa Francesco si fermò a pregare proprio poco distante da dove avviene la recita del rosario. «Forse Dio si è fatto uomo dove da sempre ci sono divisioni. La Terra santa ha bisogno di un principe della pace, ieri come oggi».
CONTRO APARTHEID E ARMI DA FUOCO, L’ARMA DELLA PREGHIERA
A Betlemme il muro, alto otto metri e sormontato da filo spinato, è ricoperto da graffiti che invocano la pace. La Madonna di Knowles tende l’orecchio al grido dei suoi figli, «è incinta ma non riesce a partorire», spiega l’elisabettina. Nell’icona è poi rappresentata anche «una porta aperta che fa intravedere Gerusalemme, così che quando il principe nascerà troverà un valico per portare pace da una parte e dall’altra». Riprende suor Lessio: «Chiediamo ai pellegrini di tappezzare il muro di immagini di Maria perché c’è bisogno di segni e di vicinanza. Sappiamo che tanti fedeli in Italia pregano alla stessa ora: come dice papa Francesco la pace è un dono che va chiesto in ginocchio. Lancio un appello ai cristiani: venite a Betlemme. Non abbandoniamo i cristiani di queste terre: portate solidarietà ma, soprattutto, la vostra fede».
Fonte www.famigliacristiana.it
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