Italiae et Ecclesia

La grande sofferenza dei cattolici: ‘Senza Comunione e Messa è davvero un tormento!’

Le celebrazioni nelle chiese non sono semplici “manifestazioni pubbliche” che esprimono l’iniziativa di alcuni cittadini di aggregarsi in momenti e luoghi prestabiliti, secondo norme che garantiscono e regolano l’esercizio delle libertà costituzionali. Le assemblee liturgiche e sacramentali sono una dimensione imprescindibile – coessenziale insieme all’annuncio del Vangelo e alla carità – della esistenza stessa della Chiesa, non una semplice prerogativa della sua libertà riconosciuta civilmente.

Padre Pio

E’ il quotidiano Avvenire, edizione on line a proporre questa riflessione.

Senza battesimi, messe, matrimoni, funerali e altri riti liturgici non si perdono solo delle manifestazioni religiose della fede e della storia culturale di un popolo: ne va della vita cristiana, con tutto quello che consegue per la persona e la comunità.

In circostanze straordinarie di pericolo sociale, durante le calamità pubbliche, mentre i credenti collaborano fattivamente per l’incolumità e la salute di tutti i concittadini, non cessa la loro domanda a Dio di salvezza attraverso i riti liturgici, in particolare con la celebrazione della Messa. Ma per carità pastorale e senso di responsabilità civica questa viene direttamente affidata esclusivamente al sacerdote, che offre a Dio il sacrificio eucaristico non solo in persona Christi,

ma anche pro populo. Il popolo cristiano vi partecipa indirettamente unendosi all’azione liturgico-sacramentale attraverso la lettura della Parola, la preghiera e la comunione spirituale e, ove possibile, anche mediate la trasmissione audio e video. Così nelle settimane di Quaresima e di Pasqua, non senza una profonda sofferenza per i pastori e i fedeli, ci siamo privati di quella unità visibile che fa gustare attraverso i sensi la bellezza e la dolcezza della comunione fraterna che unisce spiritualmente tutti i credenti in Cristo. La sofferenza più grande è non vedere attorno a sé un bene che pure c’è.

Ora, mentre guardiamo alla seconda fase dell’emergenza pandemica, quella in cui il calo della pressione del contagio virale consentirà una rimodulazione delle misure di isolamento e la ripartenza delle attività più urgenti per la vita sociale ed economica, anche la Chiesa italiana si prepara alla ripresa delle celebrazioni pubbliche essenziali – in primis la Messa e i sacramenti – nella misura e nella forma in cui sarà possibile nell’ambito delle nuove misure di profilassi che il decisore politico varerà. Queste celebrazioni non sono meno necessarie per i fedeli di quanto lo siano altre attività sociali per i cittadini.

Va però detto con franchezza: non è ragionevole pensare che nelle chiese tutto tornerà come prima.

È ormai coscienza acquisita dai governanti e dai cittadini che, per le caratteristiche epidemiologiche del coronavirus la cui infettività si attenuerà ma non scomparirà, la vita sociale non riprenderà come l’abbiamo lasciata. Così, anche pastori e fedeli sono chiamati a prepararsi a una nuova stagione della vita delle Chiese locali. Una stagione che, come le altre della sua storia, sarà guidata dallo Spirito Santo per il bene di tutti.

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