Papa Francesco ha incontrato Padre Pierluigi Maccalli
Papa Francesco: “Noi abbiamo sostenuto te ma tu hai sostenuto la Chiesa”
(Fonte Vatican News – Benedetta Capelli e Gabriella Ceraso)
Padre Pierluigi Maccalli, missionario della Società delle Missioni Africane, liberato lo scorso 8 ottobre dopo due anni di prigionia tra Niger e Mali ha incontrato Papa Francesco.
LEGGI: Padre Maccalli: ‘Mi ero costruito un Rosario di corda. Volevano convertirmi’
Ecco le sue parole a Vatican News:
R. – E’ stato un incontro molto, molto bello. Io mi sono emozionato, soprattutto raccontando al Papa quanto ho vissuto e poi affidando alla sua preghiera, soprattutto le comunità nelle quali io andavo e che ora sono rimaste sprovviste di una presenza missionaria e di un sacerdote da ormai più di 2 anni. Ho detto al Papa di portare in preghiera con lui la Chiesa del Niger. Il Papa è stato molto attento, mi ha ascoltato con molta attenzione. Gli ho detto anche un “grazie” grande per avere pregato per me, insieme alla Chiesa, e poi all’Angelus della Giornata mondiale missionaria quando ha voluto questo applauso della piazza per la mia liberazione. Io l’ho ringraziato e lui mi ha risposto: “Noi abbiamo sostenuto te ma tu hai sostenuto la Chiesa“. Non avevo parole di fronte a questo: io piccolo missionario e lui che mi diceva così…veramente non ho parole.
Ricevere, questa carezza di Papa Francesco che cosa ha rappresentato per lei e per la sua storia di missionario segnata, appunto, da questo rapimento così lungo?
R. – E’ stato l’abbraccio di un padre, questo padre che ogni giorno io porto in preghiera. Ecco, trovarmelo davanti è stata veramente un’emozione e un sentimento di grande riconoscenza. Non avrei mai pensato che un missionario che va nelle periferie del mondo, un giorno si poteva trovare davanti al Papa stesso, che sorregge la Chiesa universale. Sono emozioni difficili da esprimere… io ho continuato a dire, grazie, grazie, grazie.
C’è una parola particolare che il Papa le ha consegnato e che lei terrà anche nel cuore per il futuro?
R. – Più che una parola, un gesto. Quando ci siamo salutati, gli ho stretto la mano e lui mi ha baciato le mani. Non me l’aspettavo….
Nell’omelia che ha pronunciato ieri a Roma. Lei ha detto: ho pregato con le lacrime e il deserto è stata un’esperienza di essenzialità. Quanto questi due anni hanno inciso sulla sua fede?
R. – Le lacrime sono state il mio pane per molti giorni e sono stati la mia preghiera quando non sapevo cosa dire. Me lo sono anche appuntato un giorno. Ho letto in qualche racconto rabbinico che Dio conta il numero delle lacrime delle donne e gli ho detto: “Signore, chissà che conti anche quelle degli uomini. Io te le offro in preghiera per innaffiare quella terra arida della missione ma anche la terra arida dei cuori che provano odio provocando guerra e violenza”. E poi si va all’essenziale nel deserto. Lì ti accorgi che essenziale è avere l’acqua da bere, avere qualcosa da mangiare, anche se è lo stesso cibo ogni giorno, cipolle e lenticchie e sardine. Ma vedi che non sono i piatti ricercati che fanno la sostanza. Così è anche nella vita spirituale: ciò che vale è lo shalom, il perdono e la fratellanza, e come missionario mi sento ancor di più spronato a essere testimone di pace, di fratellanza e di perdono, oggi e sempre.