A dare inizio al processo di eutanasia fu un ordine scritto di Adolf Hitler datato 1° settembre 1939 su carta intestata della Cancelleria. Il testo recitava: “Il Reichsleiter Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto la propria responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati, autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia”. Il primo problema è capire se quest’ordine avesse forza di legge. Tecnicamente si trattava di un “Provvedimento del Führer” vale a dire quelle deliberazioni con forza di legge che Hitler prendeva dopo aver ascoltato i suoi ministri. In altri termini Hitler informava i ministri delle sue intenzioni e ne ascoltava il parere senza esserne vincolato. Nella copia del provvedimento che si è conservata vi è la nota a mano che riporta la “presa visione” del Ministro della Giustizia Gürtner. L’ordine appare incredibilmente generico, Hitler parla di “malati incurabili”, una definizione estremamente larga che di fatto lasciava carta bianca ai medici. Al processo di Norimberga il segretario di Stato Lammers ricordò il punto di vista di Hitler sull’eutanasia:
“Ho sentito parlare per la prima volta di eutanasia nel 1939 in autunno: era la fine di settembre o l’inizio di ottobre quando il Segretario di Stato dottor Conti, Direttore del Dipartimento di Sanità del Ministero degli Interni fu convocato ad una conferenza del Führer e vi fui portato anche io. Il Führer trattò per la prima volta in mia presenza il problema dell’eutanasia, affermando che riteneva giusto eliminare le vite prive di valore dei malati psichiatrici gravi attraverso interventi che ne inducessero la morte. Se ben ricordo portò ad esempio le più gravi malattie mentali, quelle che consentivano di far stare i malati solo sulla segatura o sulla sabbia perché, altrimenti, si sarebbero sporcati continuamente, oppure i casi in cui i malati ingerivano i propri escrementi e cose simili. Ne concludeva che era senz’altro giusto porre fine all’inutile esistenza di tali creature e che questa soluzione avrebbe consentito di realizzare un risparmio di spesa per gli ospedali, i medici e il personale”.
Con questo ordine la macchina per l’eliminazione fisica dei disabili fisici e mentali trovava la sua copertura giuridica. Subito dopo l’emanazione dell’ordine di Hitler, Phillip Bouhler e Karl Brandt iniziarono ad organizzare la struttura che avrebbe dovuto condurre l’operazione di eliminazione. “In primo luogo venne stabilita la sede dell’organizzazione. A Berlino, al centro dell’elegante quartiere residenziale di Charlottenburg, venne espropriato un villino di proprietà di un ebreo. Lo stabile si trovava al civico numero 4 della Tiergartenstrasse. Proprio da questo indirizzo fu ricavato il nome in codice per l’operazione di eutanasia: “Aktion T4”. Mentre Phillip Bouhler si disinteressò presto dell’operazione, Karl Brandt (probabilmente in quanto medico) si impegnò a fondo nella “Aktion T4”. Per mettere in piedi la struttura Brandt si appoggiò al suo vice Viktor Brack che, assunto lo pseudonimo di “Yennerwein”, iniziò il reclutamento del personale. Brack e il suo collaboratore Werner Blackenburg scelsero personalmente tutti gli uomini e le donne che avrebbero dovuto far parte della Aktion T4.
Viktor Brack decise di creare una Direzione della “Aktion T4”: il “Comitato dei Periti”. Questo Comitato era, di fatto, il vertice della operazione ed era costituito da tre persone: il professor Werner Heyde, il professor Paul Nitsche e il professor Maximilian de Crinis. I tre, tutti psichiatri e nazisti affidabili, crearono la struttura amministrativa ed idearono tutti i passaggi esecutivi per lo sterminio dei disabili fisici e psichici. Per mantenere strettamente segreto l’intero progetto vennero create tre strutture fittizie: la Fondazione Generale degli Istituti di Cura che si curava della gestione del personale della “Aktion T4”; la Associazione dei Lavoratori degli Istituti di Assistenza e cura del Reich che doveva preparare e spedire i questionari destinati a censire i malati ricoverati negli istituti psichiatrici; la Società di Pubblica Utilità per il trasporto degli ammalati, che doveva trasferire i pazienti destinati alla eliminazione dagli Istituti alle cliniche della morte.
Il Belgio, nazione conquistata da Hitler, ha approvato recentemente l’estensione della legge sull’eutanasia ai minori alla Camera, dopo i via libera dati in Senato e in commissione Giustizia. Nonostante larga parte della società civile belga avesse chiesto ai parlamentari di rinviare il voto, la Camera ha detto sì con 86 voti a favore, 44 contrari e 12 astensioni. Forse ha dimenticato la sofferenza inflitta dalle leggi naziste? Ha gettato nel dimenticatoio il dolore di milioni di uomini, donne, bambini e anziani? Molti ritengono l’eutanasia ai bambini un gesto compassionevole. Ma non lo è. Sono le stesse motivazioni prodotte ad arte da Hitler per eliminare “i non sani”. Avere compassione di un bambino malato significa fare di tutto perché viva senza soffrire, garantendogli la massima qualità della vita possibile. In questo modo anche la famiglia può avere il tempo di abituarsi all’idea della morte. Bisogna ricordare, infatti, che anche per le famiglie si tratta di momenti complicati.
La Francia, nazione conquistata dai nazisti e sottoposta alle leggi dittatoriali, dirige il futuro verso lidi pericolosi. Nel paese d’oltralpe si scalda il clima intorno al tema eutanasia. Due casi, nel giro di pochi giorni, stanno accendendo i riflettori sul “fine-vita”: il primo si riferisce al dottore Nicolas Bonnemaison che ieri, 25 giugno, è stato portato in tribunale a Pau, nel sud ovest della Francia, con l’accusa di aver aiutato a morire sette paziente in stato terminale. La giustizia francese, come scrive L’Ultimaribattuta il 26 giugno, ha prosciolto il medico e la sentenza è stata seguita da un lunghissimo applauso della platea. “Ho agito da medico fino all’ultimo. – ha spiegato il dottore Bonnemaison – Fa parte dei doveri del medico accompagnare i pazienti fino alla fine”.
Grave accusa-. L’uomo era accusato di avere “avvelenato” sette pazienti terminali somministrando massicce dosi di sedativo e farmaci in grado di provocare la morte. I fatti che hanno portato il medico a processo, sono accaduti tra il 2010 e il 2011. Proprio dal 2011 non può più esercitare la professione e due anni più tardi è stato radiato dall’ordine dei medici. Nicolas Bonnemaison rischiava anche una condanna all’ergastolo. Ma secondo quanto sosteneva la difesa, e anche l’accusa, il dottore “non può essere considerato un assassino nel senso comune del termine”.
Stop all’eutanasia-. Il secondo caso invece, riportato da Avvenire il 25 giugno, riguarda la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo: l’istituzione ha sospeso della sentenza del Consiglio di Stato francese che autorizza l’interruzione delle cure per il tetraplegico Vincent Lambert, per esaminare il ricorso presentato dalla famiglia. La Corte pone inoltre il divieto di spostare l’uomo dall’ospedale in cui è ricoverato. Secondo Le Figaro, il divieto di trasferire Lambert dall’ospedale di Reims risponde al timore dei genitori che la moglie, favorevole allo stop alle cure, decida il suo trasferimento nel vicino Belgio, dove l’eutanasia è legale. Vincent Lambert vive da anni in ospedale grazie a una sonda, ma secondo un verdetto del Consiglio di Stato, prodigargli ancora cibo e cure non rappresenta più un dovere medico elementare, bensì un caso di «ostinazione irragionevole». Nei fatti il verdetto avrebbe potuto tradursi in una sentenza di morte, se non fosse intervenuta tempestivamente la Corte europea.
Francia divisa-. La decisione del Consiglio di Stato ha spaccato in due la Francia, dove tante voci denunciano uno strappo all’insegna dell’eutanasia attiva. «Siamo di fronte a un atto omicida, ma, dato che il verbo uccidere è ripugnante, ci viene detto che non si trattava davvero di una vita e che di conseguenza stroncarla non equivale ad uccidere», ha commentato Jean-Marie Le Méné, presidente della Fondazione Jérôme-Lejeune sulle malattie dell’intelligenza. Da più parti, si ricorda che Vincent non è in fin di vita, ma in uno stato di pesantissimo handicap. In proposito, fra le testimonianze contro l’eutanasia delle ultime ore, c’era pure quella molto toccante del tetraplegico Philippe Pozzo di Borgo, la cui storia ha ispirato il film di grande successo «Quasi amici». Circa 1.700 pazienti in Francia si trovano in una situazione considerata paragonabile a quella di Vincent e cresce il timore che il verdetto possa segnare una svolta sul piano della giurisprudenza, ma pure nell’atteggiamento del mondo ospedaliero.
I medici hanno dimenticato la magna carta del paziente? Certamente è considerato un pezzo di carta senza valore… su cosa basano l’etica medica e professionale? Al centro delle cure del paziente non c’è l’interesse che può produrre, ma un uomo! Abbiamo smarrito la via dell’umanità, per abbracciare quella dello sfruttamento. Ciò che Hitler non ha finito di realizzare, purtroppo oggi sta diventando a poco a poco realtà. Sotto gli occhi di tutti. Nella compiacenza politica e sociale. Dimenticare le radici da cui proveniamo provoca danni enormi. Cancellare l’esperienza passata, produce mostri. Un ultima domanda: ma cosa abbiamo imparato dalla storia e dalla sofferenza di milioni di fratelli e sorelle che sono morti per i capricci di potere dei potenti? a cura di DonSa