Città del Vaticano – Vaticannews.va
“Una missione nobile e delicata”: è quella cui sono chiamati i membri del Consiglio superiore della magistratura italiana, che Francesco incontra con il presidente Sergio Mattarella. Il compito è quello di dare risposte al popolo che chiede giustizia, afferma il Papa, “e la giustizia ha bisogno di verità, di fiducia, di lealtà e di purezza di intenti”. E ascoltare “il grido di chi non ha voce e subisce un’ingiustizia” è rendere un servizio a favore della dignità della persona umana e del bene comune. Ma Francesco avverte: “Quando si alleano i grandi poteri per auto-conservarsi, il giusto paga per tutti”. Il caso emblematico è il processo a Gesù: “Il popolo chiede di condannare il giusto e di liberare il malfattore”, Pilato si domanda cosa ha fatto di male il nazareno, ma poi “se ne lava le mani”. Da qui l’indicazione del Papa:
Sono la credibilità della testimonianza, l’amore per la giustizia, l’autorevolezza, l’indipendenza dagli altri poteri costituiti e un leale pluralismo di posizioni gli antidoti per non far prevalere le influenze politiche, le inefficienze e le varie disonestà. Governare la Magistratura secondo virtù significa ritornare a essere presidio e sintesi alta dell’esercizio al quale siete stati chiamati.
Francesco offre l’esempio concreto di Rosario Livatino, “il primo magistrato beato nella storia della Chiesa”, che “nella dialettica tra rigore e coerenza da un lato, e umanità dall’altro”, “aveva delineato la sua idea di servizio nella magistratura pensando a donne e uomini capaci di camminare con la storia e nella società”, con giudici e agenti del patto sociale “chiamati a svolgere la propria opera secondo giustizia”. Per il Papa Livatino ha lasciato una “testimonianza credibile, ma anche la chiarezza di un’idea di Magistratura a cui tendere”.
La giustizia deve sempre accompagnare la ricerca della pace, la quale presuppone verità e libertà. Non si spenga in voi, illustri Signore e Signori, il senso di giustizia nutrito dalla solidarietà nei confronti di coloro che sono le vittime dell’ingiustizia, e nutrito dal desiderio di vedere realizzarsi un regno di giustizia e di pace.
Francesco ricorda quant insegnava Santa Caterina da Siena, ovvero che “per riformare occorre prima riformare sé stessi”. Dunque, ribadisce, “nessuna riforma politica della giustizia può cambiare la vita di chi la amministra, se prima non si sceglie davanti alla propria coscienza ‘per chi’, ‘come’ e ‘perché’ fare giustizia”. Chi, prosegue Francesco, è il “reo da riabilitare, la vittima con il suo dolore da accompagnare, chi contende su diritti e obblighi, l’operatore della giustizia da responsabilizzare e, in genere, ogni cittadino da educare e sensibilizzare”.
Per questo, la cultura della giustizia riparativa è l’unico e vero antidoto alla vendetta e all’oblio, perché guarda alla ricomposizione dei legami spezzati e permette la bonifica della terra sporcata dal sangue del fratello. Questa è la strada che, sulla scia della dottrina sociale della Chiesa, ho voluto indicare nell’Enciclica Fratelli tutti, come condizione per la fraternità e l’amicizia sociale.
Il pensiero del Papa va all’attuale “epoca storica di globalizzazione diffusa, in cui l’umanità si trova a essere sempre più interconnessa” ma “sempre più frammentata in una miriade di solitudini esistenziali”. E allora l’invito è a guardarsi, come insegna la Bibbia, come “famiglia umana”, “una famiglia in cui riconoscersi fratelli”, ma per fare questo, aggiunge Francesco, occorre “lavorare insieme e incessantemente, sapendo che è sulla giustizia che si fonda la pace”.
Quando le tensioni e le divergenze crescono, per farsi nutrire dalle radici spirituali e antropologiche della giustizia occorre fare un passo indietro. E poi, insieme agli altri, farne due in avanti.
Sul “come” amministrare la giustizia, il Pontefice evidenzia la necessità delle riforme, e richiama la pagina del Vangelo di Giovanni che “insegna a potare i rami secchi senza però amputare l’albero della giustizia, per contrastare così le lotte di potere, i clientelismi, le varie forme di corruzione, la negligenza e le ingiuste posizioni di rendita. Situazioni brutte, le chiama Francesco, a fronte delle quali c’è da lottare perché non crescano. Mentre a proposito del “perché” il Papa rimanda al significato della virtù della giustizia, definendola un abito interiore per i magistrati, ma “non un vestito da cambiare o un ruolo da conquistare”, bensì il senso stesso della identità personale e sociale. Quindi, ancora una volta, il Francesco torna a ciò che insegna la Sacra Scrittura: “‘saper rendere giustizia’ è il fine di chi vuole governare con sapienza, mentre il discernimento è la condizione per distinguere il bene dal male”.
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