Con Dio i pesi della vita non restano sulle nostre spalle: Lui ci dà la forza per ricominciare, riprovare, ricostruire. Al cuore dell’omelia del Papa, in piazza Cavour a Camerino, c’è la preghiera al Dio della speranza, al Dio vicino, ma c’è anche l’invito a farsi ciascuno “costruttore di bene e consolatore dei cuori, senza aspettare che siano gli altri a cominciare”
Gabriella Ceraso Città del Vaticano
Oggi, prima domenica dopo Pentecoste, è la festa della Santissima Trinità, compimento del mistero della Salvezza realizzato dal Padre per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. E Papa Francesco sceglie in questo giorno solenne di “stare vicino” e di pregare per e con i terremotati di Camerino, una comunità che lo ha atteso “con immensa gioia e trepidante affetto”, come afferma l’arcivescovo Francesco Massara, che, nel saluto al Pontefice, presenta una popolazione “costretta ai bordi delle strade” dal terremoto del 2016, piagata dal dolore ma con la voglia di “riprendersi”.
A loro – ” tribolati e feriti” – il Papa parla di speranza e di vicinanza contro rimpianti e tribolazioni e del grande dono di un Dio vicino, lo Spirito Santo consolatore e liberatore. La Messa è celebrata, al termine di una serie di visite del Papa al territorio, in una assolata piazza Cavour, stretta tra il duomo e il palazzo ducale ancora visibilmente inagibili e feriti dal sisma.(Ascolta il servizio con la voce del Papa)
Dal dolore sofferto da questa popolazione muove l’omelia del Papa che ripete, col Salmo 8 della Liturgia odierna: “Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi?”. Se quello “che innalza può crollare, e la speranza finire in polvere”, che cosa è mai l’uomo? A questa incertezza, fuori e dentro di noi, risponde la certezza che viene dal Signore: “Egli si ri-corda di noi”:
Si ri-corda, cioè ritorna col cuore a noi, perché Gli stiamo a cuore. E mentre quaggiù troppe cose si dimenticano in fretta, Dio non ci lascia nel dimenticatoio. Nessuno è disprezzabile ai suoi occhi, ciascuno ha per Lui un valore infinito: siamo piccoli sotto al cielo e impotenti quando la terra trema, ma per Dio siamo più preziosi di qualsiasi cosa.
E Ricordo è la prima delle parole chiave che Francesco condivide con i fedeli di Camerino. Ricordare di essere “figli unici e insostituibili” – spiega – ci dà la forza di non arrenderci, di non rattristarci rivangando “quel peggio che sembra non avere fine”. I “ricordi negativi”, aggiunge Francesco, arrivano anche “quando non li pensiamo” e ci tengono “prigionieri”. Chi ce ne libera è il Signore, donandoci lo Spirito Santo:
Di Lui abbiamo bisogno, perché è il Consolatore, Colui cioè che non ci lascia soli sotto i pesi della vita. È Colui che trasforma la nostra memoria schiava in memoria libera, le ferite del passato in ricordi di salvezza. Compie in noi quello che ha fatto per Gesù: le sue piaghe, quelle brutte ferite scavate dal male, per la potenza dello Spirito Santo sono diventate canali di misericordia, piaghe luminose in cui risplende l’amore di Dio, un amore che rialza, che fa risorgere. Questo fa lo Spirito Santo quando Lo invitiamo nelle nostre ferite. Egli unge i brutti ricordi col balsamo della speranza, perché lo Spirito Santo è il ricostruttore della speranza.
E la seconda parola chiave condivisa con la gente di Camerino è proprio Speranza. Quando siamo “tribolati o feriti” fa notare Francesco “siamo portati a ‘fare il nido’ attorno alle nostre tristezze”. Lo Spirito Santo a farci “spiccare il volo” dischiudendo “il destino meraviglioso per il quale siamo nati”, nutrendoci di speranza, una speranza “viva”, non “passeggera” o “fuggevole” come quella “fatta di ingredienti terreni, che prima o poi vanno a male” :
Quella dello Spirito è una speranza a lunga conservazione. Non scade, perché si basa sulla fedeltà di Dio. La speranza dello Spirito non è nemmeno ottimismo. Nasce più in profondità, riaccende in fondo al cuore la certezza di essere preziosi perché amati. Infonde la fiducia di non essere soli. È una speranza che lascia dentro pace e gioia, indipendentemente da quello che capita fuori. È una speranza che ha radici forti, che nessuna tempesta della vita può sradicare.
Invitiamo dunque lo Spirito Santo “a venire tra noi e si farà vicino”. Vicinanza è infatti l’ultima delle tre parole chiave che il Papa consegna ai marchigiani, conuna preghiera che pronuncia a braccio:
Vieni, Spirito consolatore; vieni a darci un po’ di luce, a darci il senso di questa tragedia, a darci la speranza che non delude. Vieni, Santo Spirito……
L’odierna Festa della Trinità – continua Francesco – è proprio lo “splendido mistero della vicinanza di Dio”, non è un “rompicapo”. Essa ci dice che Dio “è Padre che ci ha dato il suo Figlio” e “che per esserci ancora più vicino, per aiutarci a portare i pesi della vita, ci manda il suo stesso Spirito”:
Lo Spirito, che nominiamo ogni volta che facciamo il segno della croce proprio mentre tocchiamo le spalle, viene a darci forza, a incoraggiarci, a sostenere i pesi. Infatti Lui è specialista nel risuscitare, nel risollevare, nel ricostruire. Ci vuole più forza per riparare che per costruire, per ricominciare che per iniziare, per riconciliarsi che per andare d’accordo. Questa è la forza che Dio ci dà. Perciò chi si avvicina a Dio non si abbatte, va avanti: ricomincia, riprova, ricostruisce. Anche soffre, ma riesce a ricominciare, a riprovare, a ricostruire .
Rivolgendosi poi direttamente ai fedeli, il Papa innalza la sua preghiera al “Dio che si ricorda di noi”, al “Dio della speranza”, al “Dio vicino” perchè nessuno si scordi chi è in difficoltà:
Sono passati quasi tre anni e il rischio è che, dopo il primo coinvolgimento emotivo e mediatico, l’attenzione cali e le promesse vadano a finire nel dimenticatoio, aumentando la frustrazione di chi vede il territorio spopolarsi sempre di più. Il Signore invece spinge a ricordare, riparare, ricostruire, e a farlo insieme, senza mai dimenticare chi soffre.
Questo Dio – è l’invocazione finale di Francesco – ci aiuti ad essere “costruttori di bene e consolatori di cuori”: l’ “uomo è il tuo grande sogno, Signore – aggiuge a braccio – di cui ti ricordi sempre, fa’ che anche noi ci ricordiamo di essere al mondo per dare speranza e vicinanza, perché siamo figli tuoi, «Dio di ogni consolazione»:
Dio che si ricorda di noi, Dio che guarisce le nostre memorie ferite ungendole di speranza, Dio che ci è vicino per risollevarci da dentro, questo Dio ci aiuti a essere costruttori di bene, consolatori di cuori. Ciascuno può fare un po’ di bene, senza aspettare che siano gli altri a cominciare: comincio io. Incomincio io. Incomincio io. Ognuno deve dire questo. Ciascuno può consolare qualcuno, senza aspettare che i suoi problemi siano risolti. Anche portando la mia croce, io cerco di avvicinarmi per consolare gli altri.
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