A Nagasaki Francesco celebra la prima Messa dal suo arrivo in Giappone. Dalle ferite del passato e dall’esperienza di dolore qui vissuta, si leva il suo invito a non cedere all’indifferenza bensì ad alzare la voce in difesa di tutti i sofferenti, delle vittime innocenti delle guerre di ieri e di oggi. La compassione – dice – costruisce la storia, e la salvezza di Cristo è offerta a tutti
Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Sul Calvario, davanti a Gesù che moriva in Croce, molte voci tacquero, altre lo deridevano. Solo quella del ladrone buono “seppe alzarsi e difendere l’innocente sofferente” in una “coraggiosa professione di fede”: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E’ così che il Calvario si è trasformato da luogo del dolore a luogo di compassione e speranza: “In verità ti dico: oggi con me sarai in paradiso”.
Nagasaki, città giapponese ferita nel profondo dalla devastazione nucleare, è un moderno Calvario e il suo popolo, riunito oggi allo Stadio del Baseball per la celebrazione eucaristica presieduta da Papa Francesco, è invitato a non tacere ma ad alzare la voce, come il malfattore, nella professione della propria fede e in una preghiera comune per quanti, innocenti, patiscono sulla loro carne le sofferenze delle guerre di ieri e di oggi e perché crescano nel mondo i profeti di verità, giustizia e pace. Si snoda su questi temi l’omelia che il Papa pronuncia, commentando il Vangelo di Luca (23, 35-43) proclamato in giapponese, durante la prima delle due Messe che segnano la tappa in Giappone del suo trentaduesimo viaggio apostolico.
Dopo il pranzo all’Arcivescovado di Nagasaki, Francesco, quando sono passate da poco le 13, si trasferisce in auto nella grande arena sportiva in mattoni bianchi e rossi della città. In 35mila circa lo avvolgono in un abbraccio colorato e festoso durante il suo giro in papamobile. Tante le strette di mano e i baci affettuosi ai bambini fino a sotto l’imponente palco, bianco come la croce che lo domina. La celebrazione è scandita dai canti ed è arricchita da lingue diverse: il coreano, il tagalog, il vietnamita, lo spagnolo e il giapponese.
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Quando il Papa prende la parola per l’omelia, nel cuore ancora risuonano il forte messaggio appena lanciato sul disarmo nucleare all’Atomic Bomb Hypocenter e il silenzio assordante che il mondo ha condiviso negli attimi trascorsi, in mattinata, al Nishizaka Hill in memoria dei martiri cristiani. Ora, dallo stadio, Francesco parla come pastore al popolo giapponese e in particolare ai cattolici, i due terzi dei quali vivono proprio in questa città, per rinnovare con loro fede e impegno.
Riprendendo il Vangelo dell’ultima domenica dell’anno liturgico, incentrato sulle tre croci in cima al Calvario, di Gesù e dei due ladroni, Francesco mette subito in luce la figura del malfattore che “riconobbe Gesù e lo proclamò re”, mentre l’altro lo beffeggiava invitandolo a dimostrare di essere Figlio di Dio e a mettersi in salvo:
Lì, nel momento meno trionfante e glorioso, in mezzo alle grida di scherno e di umiliazione, quel delinquente è stato capace di alzare la voce e fare la sua professione di fede.
“Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno”: è questa la sua professione di fede a voce alta, il suo modo di “accompagnare da vicino il supplizio del Signore” dando una svolta, un “significato nuovo” al suo “tortuoso passato”. E la risposta di Gesù – “In verità io ti dico: oggi sarai con me in paradiso” – è la conferma della salvezza che il Signore offre sempre e ovunque. E il fallimento si trasforma in speranza:
Il Calvario, luogo di smarrimento e di ingiustizia, dove l’impotenza e l’incomprensione sono accompagnate dalla mormorazione sussurrata e indifferente dei beffardi di turno davanti alla morte dell’innocente, si trasforma, grazie all’atteggiamento del buon ladrone, in una parola di speranza per tutta l’umanità. Le burle e le grida di “salva te stesso” di fronte all’Innocente sofferente non saranno l’ultima parola; anzi, susciteranno la voce di quelli che si lasciano toccare il cuore e scelgono la compassione come vero modo per costruire la storia.
Dal Vangelo al presente. ”Come il buon ladrone”, riflette il Papa, anche noi conosciamo bene la nostra “storia di fallimenti, peccati e limiti”, ma non vogliamo che essa determini presente e futuro. È facile infatti, fa notare, “perdere la memoria di ciò che significa sopportare la sofferenza di tanti innocenti”:
Queste terre hanno sperimentato, come poche altre, la capacità distruttiva a cui può giungere l’essere umano. Perciò, come il buon ladrone, vogliamo vivere l’istante in cui poter alzare le nostre voci e professare la nostra fede a difesa e a servizio del Signore, l’Innocente sofferente. Vogliamo accompagnare il suo supplizio, sostenere la sua solitudine e il suo abbandono, e ascoltare, ancora una volta, che la salvezza è la parola che il Padre vuole offrire a tutti: «Oggi sarai con me nel paradiso».
“Mettiamoci sulle orme”, invita il Papa, di migliaia di martiri giapponesi che hanno testimoniato proprio questo, cioè la salvezza offerta da Gesù e la certezza che l’amore dato da Cristo in croce vince ogni tipo di odio, di egoismo e di oltraggio o cattiva evasione, ogni “pessimismo indolente o benessere narcotizzante” che paralizza le buone azioni. “Cristo è vivo tra noi e ci vuole vivi”: Cristo è la nostra speranza. Ed ecco allora cosa chiede il Papa ai fedeli giapponesi:
Se la nostra missione come discepoli missionari è di essere testimoni e araldi di ciò che verrà, essa non ci permette di rassegnarci davanti al male e ai mali, ma ci spinge a essere lievito del suo Regno dovunque siamo: in famiglia, al lavoro, nella società; ci porta ad essere una piccola apertura in cui lo Spirito continua a soffiare speranza tra i popoli.
Portatori di speranza e strumenti per realizzare già nel presente il Regno dei cieli accogliendo coloro in cui Cristo si è identificato, cioè i nostri malati, i disabili, gli anziani, i rifugiati, gli abbandonati e i lavoratori stranieri. E’ così dunque che al termine della sua omelia il Papa torna a ribadire il pensiero da cui tutto è partito: fare insieme la nostra coraggiosa professione di fede, senza tacere né deridere, come sul Calvario seppe fare il buon ladrone:
Cari fratelli, Nagasaki porta nella propria anima una ferita difficile da guarire, segno della sofferenza inspiegabile di tanti innocenti; vittime colpite dalle guerre di ieri ma che ancora oggi soffrono per questa terza guerra mondiale a pezzi. Alziamo qui le nostre voci, in una preghiera comune per tutti coloro che oggi stanno patendo nella loro carne questo peccato che grida in cielo, e perché siano sempre di più quelli che, come il buon ladrone, sono capaci di non tacere né deridere, ma che con la loro voce siano capaci di profetizzare un regno di verità e di giustizia, di santità e di grazia, di amore e di pace.
Prima di concludere la celebrazione eucaristica, l’arcivescovo di Nagasaki, monsignor Joseph Mitsuaki Takami, ha rivolto un saluto al Papa ringraziandolo dei messaggi pronunciati sull’abolizione delle armi nucleari e in favore della pace e dell’incoraggiamento dato alla missionarietà giapponese sull’esempio dei martiri del passato. Il presule si è fatto quindi portavoce di un impegno collettivo a “mostrare l’amore di Cristo al mondo” dove cresce l’egocentrismo e la dignità umana è sempre più minacciata.
Al termine della celebrazione il Papa ha fatto rientro in sagrestia e, secondo il programma, si è trasferito all’aeroporto per partire verso Hiroshima dove, dopo un’ora di volo, la giornata continua con l’Incontro per la pace, previsto al Memoriale della pace alle 18.40 circa, quando in Italia saranno le 10.40.
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