L’intervento di padre Brena su «La Civiltà Cattolica»: il rapporto con la verità e la consapevolezza che la misericordia è «la sostanza stessa» del Vangelo. Uno sguardo al prossimo Sinodo e la proposta di una pastorale più attenta alle condizioni particolari delle persone
È un articolo denso che parte dalla domanda su come si conciliano dottrina e misericordia per arrivare ad affermare che la misericordia è dottrina e soprattutto è la «sostanza stessa del Vangelo», come ripetuto da Papa Francesco. Lo ha scritto padre Gian Luigi Brena e apre il prossimo numero de «La Civiltà Cattolica» entrando nella tematica del Sinodo sulla famiglia.
L’autore innanzitutto osserva il significativo cambiamento avvenuto tra la relazione dopo la discussione sinodale tenuta dal cardinale Péter Erdő e il documento finale del Sinodo. Erdő aveva affermato l’esigenza che «la dottrina della fede, da far conoscere sempre di più nei suoi contenuti fondamentali, vada proposta insieme alla misericordia». Nel documento finale la frase è stata modificata ricordando che «il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica della misericordia e della verità, che in Cristo convergono». E qui sono presenti tre novità, fa notare «La Civiltà Cattolica»: il riferimento al «messaggio» di Cristo più che alla «dottrina»; l’inversione dell’ordine che mette la misericordia prima della verità; e l’affermazione che queste due istanze sono unificate in Gesù.
«Se interpretiamo l’ordine di precedenza come un suggerimento di priorità – scrive Brena – e ci chiediamo se il Signore abbia privilegiato o meno la misericordia rispetto alla Legge e alle sue disposizioni, ci ricordiamo facilmente che per Gesù la misericordia vale più del sacrificio, e che il sabato stesso è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. A questo proposito, la cosa più importante è interiorizzare questo stile del Signore, illustrato anche nelle parabole del buon samaritano e del padre misericordioso».
Per l’autore la misericordia consente «di tener salda la fedeltà alla verità». «Se noi – spiega – misuriamo gli uomini secondo una regola, è inevitabile dividerli tra giusti e peccatori; dopo di che resta solo da invitare questi ultimi a convertirsi adeguandosi alla norma; e, in sostanza, il discorso finisce qui. Così la tensione è estremizzata, ma non si tratta di una incompatibilità assoluta. Da sempre, nella tradizione, il confronto tra la dottrina e le esigenze delle persone nelle varie situazioni non è mai stato netto e tagliente. La possibilità di una conciliazione è lasciata aperta, dato che, nel campo delle realtà umane, la verità non può essere determinata generalmente da leggi senza eccezioni, come nel campo puramente teorico. Nell’applicazione dei precetti morali si ammettono quindi accomodamenti alle circostanze, soprattutto qualora queste comportassero un cambiamento della fattispecie». Padre Brena cita ad esempio la questione del trapianto di organi, in un primo tempo definito non ammissibile moralmente, per poi essere considerato «azione meritevole».
«Le norme restano sensate e valide – scrive la rivista dei gesuiti – ma non si può pretendere che esse decidano sempre tutti i casi particolari nei quali l’azione acquista il suo concreto e decisivo significato. E dato che non si possono prevedere tutti i casi, occorre affidare alla coscienza dei protagonisti la responsabilità ultima della decisione sul da farsi nelle singole circostanze. È tradizionale – specifica Brena – anche il principio della coscienza individuale come criterio prossimo della responsabilità delle persone».
L’autore ricorda che oggi sono cambiate anche alcune circostanze storiche «generali». Mentre un tempo la validità delle norme morali «era considerata tradizionalmente come la situazione normale, e la regola generale era preponderante», dato che le «eccezioni» erano rare in una società omogenea e sostanzialmente statica; «nella modernità, invece, le cose sono cambiate, soprattutto nell’ultimo secolo».
«Questo ha portato a ritenere – si legge ancora nell’articolo – che nelle cose umane la singolarità delle persone e delle loro situazioni uniche abbia un peso proprio nel contesto di ciò che è sostanzialmente comune a tutti. Si giunge così fino a dare una priorità alla singolarità delle persone sulla generalità della dottrina. Un simile cambiamento di accentuazione ha caratterizzato anche un orientamento di fondo del Concilio Vaticano II: dalla condanna delle deviazioni moderne rispetto alla dottrina tradizionale, che non è stata revocata, si è passati a un atteggiamento di dialogo con le persone tendente a valorizzare i loro aspetti migliori. La missione pastorale richiede che si accettino e si accolgano anzitutto le persone in carne e ossa».
Questo «può e deve essere fatto», precisa padre Brena, «senza per nulla rinunciare alla verità cristiana, che ora viene confermata come traguardo da raggiungere, aiutando le persone a conoscere meglio tale verità, ad assimilarla e a realizzarla nella vita. La priorità data alla persona è in sintonia con l’atteggiamento della misericordia, perché consente di accogliere tutti senza condizioni previe e valorizzando anzitutto il desiderio delle persone di avvicinarsi al Signore nella verità. La misericordia riguarda soprattutto i casi in cui si ammette, da parte di tutti, che la norma è stata infranta e che è stato commesso un male e un peccato».
«Si distingue però – aggiunge Brena – il peccato, da condannare, dal peccatore, da aiutare. Non solo. Rivolgendosi direttamente alle persone, si è portati a non sottolineare il male che le scoraggia, bensì a valorizzare il bene che c’è in esse e a farlo crescere, fino a superare il male compiuto, riconoscendolo e cercando di ripararlo».
La conciliazione con la norma risulta possibile se – aggiunge l’autore dell’articolo -«nello spirito del Vangelo, si dà la priorità alla persona. La misericordia non nega la dottrina e la norma generale, anzi la conferma già per il semplice fatto che invita le persone a un cammino penitenziale che riconosce il male compiuto e invita alla speranza in Dio. Ma dice anche alla persona in difetto che davanti al Signore lei non si identifica con il suo peccato, e che non tutto è perduto: c’è ancora una possibilità di recupero nella vita».
In questa prospettiva della priorità accordata alle persone e alle loro concrete situazioni, «diventano meglio comprensibili la possibilità e la necessità di prendersi cura anche delle situazioni di convivenze irregolari e di accompagnarle in percorsi graduali… Se ci mettiamo di fronte alle persone che invitiamo alla riconciliazione e al riavvicinamento alla Chiesa, non possiamo chiedere loro tutto e subito, dato che si tratta di migliorare aspetti importanti della loro vita».
Padre Brena auspica percorsi personalizzati di accompagnamento che vedano coinvolte tante coppie disponibili a questo impegno, capaci di testimoniare la bellezza del matrimonio. «Da parte della Chiesa, occorre prospettare alle coppie irregolari un percorso con uno sbocco importante e significativo, così che questa proposta abbia un’attrattiva e un senso compiuto, e sia quindi proponibile con piena convinzione del suo valore». E il messaggio fondamentale da comunicare è quello «del perdono e dell’amore, come il Signore per primo desidera perdonarci e farci crescere nell’amore».
La rivista dei gesuiti osserva come il superamento della prassi attuale in merito all’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati fa esitare per il timore di «perdere i salvati», salvaguardandoli «dal rischio di indebolire la regola generale, quasi si approvassero, o addirittura si privilegiassero, le situazioni irregolari».
Un rischio che, aggiunge l’autore, «può essere evitato, a patto che si curi, con un impegno ancora maggiore, una pastorale per il periodo del fidanzamento e dei primi anni di matrimonio, centrata sulla bellezza dell’amore di coppia, fedele e indissolubile nella concretezza della vita».
«La Civiltà Cattolica» ritiene che vi siano «più sottili e nascosti» ostacoli a questo rinnovamento. Si fatica cioè a immaginare una pastorale che «tenga conto delle situazioni singole, dei cambiamenti e della gradualità». La mentalità sottesa ai documenti ecclesiali, «rimanendo aderente al realismo tradizionale, dovrebbe fare più spazio al soggetto umano, alla storia, alla varietà e mutevolezza delle situazioni culturali che influiscono sulla formazione della realtà umana». Brena ammette che «a tutt’oggi — e non senza ragione — parlare della priorità del soggetto suscita sospetti di soggettivismo, e che ogni forma di pluralità culturale e storica è sospettata di relativismo. In questa situazione, è difficile che si tengano presenti le nuove circostanze, continuando a pensare che esse non possano modificare l’interpretazione tradizionale della legge di Dio, che si arrestava alle norme generali, ritenendole sufficienti a stabilire la moralità o meno degli atti singoli delle persone».
Questo però ha come una conseguenza: «le situazioni particolari della cultura e delle persone rimangono così puramente accidentali e non valgono come incisive nella comprensione dell’uomo attuale, e neanche come rilevanti nell’interpretazione del Vangelo». Occorre dunque «mostrare che è possibile far posto al soggetto e alle esigenze singolari della condizione umana socialmente vissuta, come anche alla storia e alla pluralità delle culture, evitando il soggettivismo e il relativismo e mantenendo il realismo della conoscenza umana e la validità interpersonale della morale».
Questo esige, aggiunge padre Brena, «un lavoro di riflessione filosofica e teologica». Papa Francesco ha descritto l’esperienza sinodale, indicandone i compiti «nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini e nella duplice e unica fedeltà che ne consegue. Questa duplice fedeltà ci conduce a vedere il positivo nelle persone come opera di Dio in loro, ma anche a considerare le situazioni reali nelle quali viviamo. Non per subirle o per approvarle in tutti i loro aspetti, ma pur sempre perché le accettiamo come dati di partenza, con realismo e senza schermi».
«Dobbiamo guardarci – scrive ancora “Civiltà Cattolica” citando il Papa – da una teologia che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro». Come convergono dunque in Gesù misericordia e verità? Il Nazareno «è una verità personificata, che non si limita perciò a una constatazione fotografica di un malcapitato ferito sul ciglio della strada, ma ha anche un cuore che sente la sua sofferenza fino a commuoversi. La verità colta con un cuore accogliente incontra la misericordia e diventa fraternità che non conosce confini».
Di Andrea Tornielli per Vatican Insider (La Stampa)