Categorie: Pax et Justitia

La pace nell’Antico Testamento

Se prendiamo la parola italiana “pace” e chiediamo quale sia il suo corrispondente in ebraico, la risposta unanime sarà “šālôm”. Se leggiamo la Bibbia ebraica ci rendiamo conto, però, che questa corrispondenza è solo parziale, poiché il termine biblico mostra una ricchezza di significati maggiore rispetto all’italiano.

Il termine šālôm è piuttosto frequente nella Bibbia ebraica (237 volte) e, allo stesso tempo, aperto a diverse interpretazioni. Scrive G. von Rad: “È difficile trovare nell’A.T., un altro concetto così trito e comune nella vita quotidiana, e tuttavia non di rado carico di pregnante contenuto religioso”. Sarebbe restrittivo il voler tradurre šālôm con ‘pace’: “il significato fondamentale della parola è quello di ‘benessere’, con una chiara preponderanza dell’aspetto materiale”.
In 2Sam 11,7 troviamo un’espressione ebraica singolare: šᵉlôm hammilḥāmāh, lett. “la pace della guerra”, ma da tradursi nel contesto: “andamento (o meglio “esito”) della guerra”. Un’espressione apparentemente contraddittoria che, però, ci fa capire come il senso di “pace” non sia il primo dei possibili significati, anzi non è assolutamente plausibile in questo luogo! In realtà qui ci troviamo di fronte ad un idioma della lingua ebraica dove la parola šālôm viene preceduta dalla particella interrogativa māh “che cosa?” e pone la domanda “come stai?”, oppure “come va?”. L’espressione appena citata costituisce, perciò, uno stimolo ad approfondire il senso vero del termine.
Esistono molti studi in diverse lingue dedicati al tema della pace nell’AT, oppure, più spesso, al rapporto “pace-guerra”. In italiano, fra gli studi più specifici, sono assai pertinenti al nostro tema l’articolo di G. von Rad, nel III volume del Grande Lessico del NT, e un quaderno della rivista Zetesis interamente dedicato al tema della pace e disponibile anche in internet.
Nelle interessanti pagine introduttive al secondo capitolo della sua opera, dedicato al concetto veterotestamentario di šālôm, scrive H.H. Schmid: “La traduzione di šālôm con “pace” risale ai LXX (eirēnē) e alla Vulgata (pax). In mancanza di una sufficiente conoscenza di altre lingue semitiche, i termini ebraici sono stati confrontati in prevalenza con gli equivalenti greci e latini… Il processo di emancipazione dalle antiche traduzioni… è ancora lungi dall’essere compiuto”.
In questo intervento intendo soffermarmi sull’aspetto linguistico della radice šlm e del sostantivo šālôm evidenziandone alcune implicazioni di carattere storico-etimologico e semantico.

Uno sguardo all’ebraico moderno
a) Ernest Klein nel suo Dizionario etimologico tratta della radice šlm (p. 662) e del sostantivo šālôm (p. 660). La radice šlm significa “essere finito, essere completo”; “essere intero, essere salvo/sicuro”; “essere pacifico, essere a proprio agio”. La stessa gamma di sensi è riscontrabile nelle lingue semitiche classiche, come si può facilmente evincere già dalla lettura dei migliori dizionari biblici. Klein continua: “La base šlm probabilmente si è sviluppata dalla radice šlh1 ‘essere a proprio agio’ tramite la mediazione di šalom ‘pace’”.
Per quanto riguarda i significati del sostantivo maschile šālôm Klein elenca sei significati solo l’ultimo dei quali è “pace”. I significati sono nell’ordine: 1.  “benessere”; 2.  “sicurezza, tranquillità”; 3.  “completezza”; 4.  “(buona) salute”; 5.  “condizione, stato”; 6.  “pace”. Interessante notare come il senso di pace venga all’ultimo posto! Il collegamento con la radice šlh1 ci fa ritenere che, secondo Klein, il senso della parola šālôm sia da collegare a due radici (šlm e šlh1) in un crescendo di significati che va “dall’assenza di turbamento, alla tranquillità, alla pace e al benessere”.
b) Guardiamo ora la voce šālôm nella concordanza dell’AT curata da A. Even Shoshan, nella quale troviamo elencati, insieme a tutte le occorrenze del termine e ai loro significati, anche le parole “vicine”, cioè i sinonimi di šālôm. Questo confronto è importante in quanto ci permette di sfruttare la sensibilità linguistica di un autore di madrelingua ebraica (ebraico moderno, ovviamente, come anche nel caso di Klein).
Questi i termini sinonimi elencati nella suddetta opera: beṭaḥ / biṭḥāh / biṭṭāḥôn; hašqēṭ / šeqeṭ; mᵉnuḥāh / margôa‘ / šalwāh. Queste parole si possono suddividere in tre gruppi che significano: 1)  la “sicurezza” espressa dai derivati della radice bṭḥ; 2)  il “silenzio” o la “quiete” espresso dalla radice šqṭ; 3)  il “riposo” e la “tranquillità” espresso dai termini: mᵉnuḥāh, margôa‘ e šalwāh.
Dalle parole dei due autori di madrelingua ebraica appena ricordati vediamo che il campo semantico del sostantivo šālôm viene messo in relazione con quello della “tranquillità, silenzio, riposo, pace”. Questo “stare in pace” è quanto può percepire un lettore che proviene dall’ebraico moderno.

La radice šlm nelle lingue semitiche di Nord-ovest
Prima di concentrarci sull’ebraico biblico soffermiamoci brevemente sul senso della radice šlm nell’epigrafia semitica antica dell’area cananaica. Nel DISO  di Jean e Hoftijzer abbiamo una duplice divisione della radice: per le forme verbali e per i derivati nominali. Per le prime vengono definiti i seguenti significati:  1)  “mettere in possesso”; 2)  “compiere, portare a compimento”; 3)  “pagare, rimborsare”; 4)  “restituire, riparare (un torto)”. Questi sono, invece, i sensi forniti per le forme nominali:  1)  “salvezza, benessere, salute”; 2)  “pace, buone relazioni”; 3)  “riconciliazione?, pagamento?”. Questa situazione è molto simile a quella dell’ebraico biblico (si veda in seguito).
Nella riedizione del 1995  viene aggiunto un quarto senso ai derivati nominali: 4)  “formula di saluto aramaica” scritta, in caratteri greci, salám (p. 1152), parola aramaica che corrisponde all’ebraico šālôm. Purtroppo la trascrizione in caratteri greci non ci aiuta a capire quale fosse l’esatta pronuncia della parola.

Ebraico biblico
Il dizionario biblico di Köhler-Baumgartner attribuisce alla parola šālôm sette significati principali (non sempre chiaramente distinguibili e classificabili) che sono: 1.  “prosperità, successo”; 2.  “completezza, l’essere intatto”; 3.  “benessere, stato di (buona) salute”; 4.  “pace (anche come opposto di guerra)”; 5.  “socievolezza, gentilezza”; 6.  “liberazione, salvezza”; 7  “pace, salvezza (in vari contesti)”. Anche da questa lista risulta che il significato di “pace” è un senso acquisito; insomma non rappresenta il significato principale del termine šālôm.
Nello stesso lessico viene offerta un’ampia sintesi del valore della radice šlm in ebraico biblico, nelle forme verbali delle diverse coniugazioni. Al Qal vengono evidenziati i seguenti tre significati: 1.  “essere completo, essere pronto”; 2.  “essere in salute, essere incolume”; 3.  “mantenere la pace”. Al Piel il verbo significa: 1.  “completare, restituire”; 2.  “ricompensare”; 3.  “mettere (qualcuno al suo posto appropriato), rimpiazzare”; 4.  “finire”. Alla coniugazione Hifil significa: 1.  “finire, portare a compimento”; 2.  “consegnare, cedere (arrendersi)”; 3.  “fare la pace”.
Da questo elenco di significati si evince che il senso di “fare la pace” è piuttosto raro  e, inoltre, ricorre in contesti di non facile interpretazione (e solo nel libro di Giobbe).

Due studi specifici
a) In un’analisi a tutto campo W. Eisenbeis studia la radice šlm nella Bibbia ebraica e nel suo più ampio contesto semitico. Viene studiato l’uso e il senso della radice anche in accadico, sia nelle forme verbali che in quelle non-verbali. Con il secondo tipo di forme l’autore perviene alla seguente conclusione: “Il significato fondamentale delle forme non verbali della radice è condizione incolume [o stato intatto]. L’elemento centrale di ogni contenuto di significato è la presentazione della totalità [o interezza]”. Dopo una visione d’insieme della terminologia della radice šlm nei diversi tipi di letteratura e nelle differenti epoche, alle pp. 29ss viene studiato il campo semantico del verbo šalāmu (che egli normalizza šalâmu). La conclusione è la seguente: “Dalle esposizioni fin qui svolte, è divenuto chiaro che il significato fondamentale del verbo è caratterizzato mediante la presentazione della totalità [o interezza]… Si potrebbe, perciò, forse dire che la totalità è qui caratterizzata tramite le qualità della figura, perché in ogni affermazione del verbo viene presupposta la totalità, sia come dato effettivo, oppure come possibilità”.
La conclusione generale riguardo al senso della radice nelle lingue semitiche è la seguente: “Il risultato della visione d’insieme sui singoli ambiti di utilizzo della radice all’interno delle lingue semitiche suona: la radice è ispirata dall’idea della totalità [o interezza]”.
Forse l’autore sarebbe giunto a conclusioni diverse se solo avesse avuto a disposizione i volumi del Chicago Assyrian Dictionary che trattano in maniera distinta delle radici slm e šlm (si veda in seguito), oppure l’ottimo dizionario accadico-tedesco di W. von Soden che procede allo stesso modo. Purtroppo le sue opere di riferimento per la lessicografia accadica sono marcate in maniera indelebile dal tempo.
b) In un articolo, posteriore di qualche anno, G. Gerleman studia il campo semantico di šlm in ebraico partendo dagli stessi presupposti linguistici di Eisenbeis e arrivando a conseguenze simili. La sua precisazione, riguardo al senso della radice, consiste nel fatto che la radice šlm mostra sempre il senso/sfumatura di “pagare, ripagare”, piuttosto che quello di “totalità, completezza”.
Dunque la radice šlm in ebraico biblico, come nelle lingue semitiche antiche, indica “totalità, interezza, pagamento”. La parola šālôm, di conseguenza, significa “benessere, essere sano, essere in salute”. Occorre dunque spiegare come a questi sensi principali si sia aggiunto il senso di “pace” e di “fare la pace”.

Eirēnē nel mondo greco antico
Nel mondo greco si nota una progressiva restrizione (o precisazione) di significato nel passaggio dal greco classico a quello ellenistico. Dopo avere studiato la possibile etimologia di eirēnē, l’anonimo estensore dell’articolo afferma: “La mancanza di un’etimologia credibile impedisce anche di definire l’esatta appartenenza del termine a un determinato ambito semantico originario: possiamo soltanto dire che certo eirēnē non appartiene originariamente né al lessico politico né al lessico diplomatico”. E aggiunge: “Benché spesso nei testi sia letterari sia epigrafici eirēnē sia usata semplicemente in contrapposizione a pólemos ‘guerra’, all’idea della pace è saldamente associata l’idea del benessere materiale”.
Dopo aver esaminato alcune affermazioni riguardanti il “concetto di pace”, tratte dai classici greci (Esiodo, Erodoto, Euripide, con accenni ad altri), l’autore afferma: “Tutto questo fa sì che sia da ritenere inadatta e limitante l’idea che eirēnē rappresenti all’origine semplicemente l’opposto di pólemos ‘guerra’. Questo significherebbe attribuire alla parola una risonanza puramente negativa (non un valore in sé, bensì l’assenza di un male), spogliandola degli aspetti positivi che viceversa i testi esaminati evocano con evidenza”.
L’evoluzione del senso di eirēnē nel senso odierno di “pace” oppure di “momento di pace (dopo una guerra)” si comincia a cogliere nella prosa attica del V-IV sec. In Platone (Leggi 628 a-b)  eirēnē viene contrapposta a pólemos (la guerra contro i nemici esterni) e a stásis (la guerra civile), e nello stesso contesto (628 c) la pace e la benevolenza (filofrosúnē) reciproca vengono considerate come il bene supremo.
Nell’età ellenistica la parola indica non soltanto la situazione di pace, ma anche il trattato di pace. La speculazione ellenistica, sia epicurea sia stoica, mettendo sempre più in ombra il valore politico e sociale della parola (che era stato invece trattato nella Politica di Aristotele), conferisce a eirēnē un valore soprattutto spirituale, e la considera come una conquista dell’individuo: eirēnē è la condizione del sapiente che ritrova nel profondo di sé le condizioni per raggiungere la serenità o l’imperturbabilità.
In questo contesto culturale variegato (nel quale la parola mostra sia il significato di “benessere” che, soprattutto, quello di “pace” e di “serenità individuale”) si inserisce l’uso di eirēnē nella Bibbia tradotta in greco (LXX).

Eirene nella versione dei LXX
Dopo aver esaminato il concetto greco di eirēnē W. Foerster conclude: “Mentre l’aspetto essenziale di eirēnē è la condizione di tranquillità, quello di šālôm è il benessere, l’essere ‘sano, in salute’”.  E continua: “Poiché nei LXX quasi tutti gli esempi di šālôm, e solo essi (per le eccezioni > col. 213), sono stati tradotti con eirēnē, ne risulta che la parola greca ha assorbito il contenuto del corrispondente ebraico”.  
Tale estensione di significato nell’uso della parola eirēnē era già evidente nei passi dove il termine veniva inteso come “opposto della guerra”. Ma la cosa è ancora più evidente “per quei numerosi testi in cui šālôm, tradotto appunto con eirēnē, non aveva alcuna relazione con la guerra, ma nel suo significato generico di benessere costituiva l’opposto di ‘male’ in tutti gli impieghi possibili di questo termine”.  
Nelle colonne successive (209-212) l’autore considera le occorrenze del termine greco che significano “benessere, salute, integrità, bene etico, bene che viene da Dio”.  L’uso di eirēnē “per designare la salute elargita da Dio agli uomini” (e solo per questo), è costante.  In altri passi eirēnē traduce parole diverse da šālôm, cioè: la radice šqṭ “essere quieto, stare in silenzio”; e i sostantivi beṭaḥ “sicurezza” e šalwâ “tranquillità”.  In questi ultimi casi eirēnē perde (mi pare) il senso di “benessere” e può equivalere a “mancanza di tribolazioni”, oppure a “assenza di preoccupazioni”.
Da questa sintetica esposizione mi pare chiaro che anche i LXX hanno percepito i diversi sensi del biblico šālôm, quello pieno di “benessere” e quello attenuato di “pace”. I due sensi sono stati resi entrambi con eirēnē che aveva, almeno in potenza, le valenze semantiche di šālôm. In concreto i LXX hanno di fatto limitato i sensi di šālôm mettendo in evidenza l’aspetto più frequente nella loro epoca, cioè il senso di pace.
Il prossimo passo ci permetterà di vedere che il senso che ho chiamato attenuato (= pace) è, in realtà, un senso pieno, ma derivante da una radice diversa.

Una proposta dalla lingua accadica
Per comprendere i significati di šālôm (e della radice šlm) nella Bibbia ebraica occorre fare un passo indietro e rivolgersi alla lingua accadica. In questa lingua abbiamo due radici (dalle quali derivano verbi e sostantivi), simili nella forma (hanno due lettere radicali su tre uguali) e tuttavia ben distinte, che sono slm e šlm.
Nel volume 15 del Chicago Assyrian Dictionary (CAD) troviamo la radice slm e i suoi derivati. Troviamo il sostantivo salāmu con il senso di “relazioni amichevoli, pace, alleanza”. Il verbo salāmu, a sua volta, mostra i seguenti significati: 1.  “riconciliarsi, fare la pace”; 2.  “rappacificare, riconciliare”. Inoltre troviamo la voce salīmu con i sensi di: 1.  “pace, concordia” e 2.  “riconciliazione con gli dei, favore”. Dunque questa radice della lingua accadica esprime chiaramente il senso di pace e riconciliazione.
Nel volume 17 del medesimo CAD troviamo la radice šlm e le parole ad essa riconducibili. Il sostantivo šalāmu A ha i seguenti significati: 1.  “salute (fisica)”; 2.  “benessere”; 3.  “completamento (di un viaggio)”; 4.  “comportamento scorretto”. Il sostantivo šalāmu B significa “tramonto” (completamento del viaggio del sole). Il verbo šalāmu ha i seguenti quattordici sensi: 1.  “stare bene”; 2.  “essere in buone condizioni, essere intatto”; 3.  “essere favorevole, essere propizio”; 4.  “avere successo, prosperare”; 5.  “essere completato, essere terminato”; 6.  “essere pagato, ottenere un pagamento”; 7.  “mantenere bene, in buona salute, in buona condizione”; 8.  “guardare, proteggere, salvaguardare”; 9.  “rendere favorevole”; 10.  “portare (qualcuno) al successo”; 11.  “completare un lavoro”; 12.  “pagare, ripagare, ricompensare”; 13.  “essere pagato, essere ricompensato (uso passivo)”; 14.  “essere ripagato in pieno (uso passivo NA)”. Anche i derivati non verbali dalla radice condividono gli stessi sensi: il sost. šalimtu significa 1.  “benessere, sicurezza”; 2.  “sincerità, verità, affidablità”; 3.  “area/lato favorevole delle viscere”. L’avverbio šalmiš  significa “sicuramente, in maniera sicura”. Per l’aggettivo šalmu  vengono dati i sensi di 1.  “in salute, intatto, favorevole, propizio” e 2.  “solido (finanziaria¬mente), solvente (che paga i debiti)”. Il sost. šalmūtu  indica “sicurezza, condizione di benessere”. Come si può vedere, tutti questi termini, appartenenti alla radice šlm, non hanno nulla a che vedere con il senso “pace”.
La lingua accadica ci mostra, dunque, che ci troviamo di fronte a due radici semitiche ben distinte, cioè slm e šlm. Lo stesso avrebbe dovuto [o potuto] essere in ebraico (almeno allo stadio più antico della lingua): i significati legati al campo semantico della “pace” devono derivare dalla radice proto-semitica slm, mentre quelli indicanti “completezza, benessere”, ecc. devono essere relazionati alla radice šlm.
In accadico la śin protosemitica  si scrive solitamente con šin a causa dell’inadeguatezza del sistema di scrittura. A. Lancellotti, trattando del complicato “Problema delle Sibilanti” nei diversi dialetti e nelle diverse epoche della lingua accadica, afferma: “È certo che la š in antico e medio babilonese appare come il risultato di tre fonemi protosemitici e cioè: š1 da *š, š2 da *ś e š3 da *th”.  In antico accadico, inoltre, spesso la š derivante da ś è stata resa “con i simboli della s”.  Quindi la radice accadica slm potrebbe ben rappresentare un’originale radice ślm.
Nel caso di šālôm, in ebraico, la confusione fra le due radici slm/ślm e šlm potrebbe essere stata favorita dall’uso del grafema ç che, in assenza del punto diacritico, poteva essere interpretato come śin oppure come šin.
Non è da escludere, anche se non si può dimostrare, che da due radici in origine diverse (slm/ślm e šlm), ma scritte in ebraico con identica grafia (µlç) potessero esistere due parole simili (śālôm e šālôm) le quali sarebbero state ricondotte dai masoreti ad un’unica radice (šlm). Questo scambio sarebbe stato favorito, oltre che dalla somiglianza delle lettere radicali, anche dalla relativa vicinanza fra i campi semantici di slm/ślm e šlm.

Datazione del fenomeno
Ora possiamo chiederci quando sia avvenuta questa con-fusione di lettere (e di sensi): i dati fin qui raccolti ci portano ad un’epoca molto antica. Già nella lingua ugaritica (seconda metà del secondo millennio a.C.) troviamo i due sensi di “pace” e “benessere” fusi nell’unica radice šlm.  Questo è dovuto al fatto che, in questa lingua, ś in e šin si fondono insieme;  la loro esistenza come entità separate, tuttavia, si può rilevare confrontando le lingue semitiche affini. Possiamo, quindi, supporre che, già nel secondo millennio a.C., questa fusione di lettere (fonemi) avesse avuto luogo.
“Nel primo millennio tutte le lingue cananaiche, fatta eccezione per l’ebraico, mostrano la fusione di śin con šin”.  Quindi in ebraico ci aspetteremmo la forma śālôm. In concreto, la parola in questione in ebraico (biblico) è stata scritta, per ben più di un millennio (fino all’epoca dei massoreti), con il grafema ambiguo ç che poteva indicare ś oppure š.
Le trascrizioni dell’ebraico in lingua greca (epoca dei LXX) non ci aiutano, in quanto la lingua greca non ha la possibilità di distinguere fra la ś e la š. Se si volesse ricostruire l’alfabeto ebraico basandosi sulle trascrizioni in greco, si otterrebbe un alfabeto composto da un numero minore di segni. Mancherebbero le gutturali, che non possono essere adeguatamente trascritte in greco, e si perderebbe anche la distinzione fra le dentali d, ṭ e fra le sibilanti š, ś, ṣ, s.
Negli scritti di Bar Kokhba (verso il 130 d.C.) troviamo la parola aramaica šᵉlām (µlç, il corrispondente di šālôm ebraico) scritta con la lettera samech, cioè sᵉlām (µls).  Negli scritti rinvenuti nella regione del Mar Morto gli scambi fra le sibilanti (sia nei testi biblici che non biblici) sono assai frequenti e sono attestati in tutte le direzioni: ś > s; š > s; s > ç. Questo fenomeno, molto interessante per il nostro tema e per la parola in questione, è tipico della lingua ebraica e aramaica dell’epoca ellenistica influenzata, nella scrittura e nella pronuncia, dalla lingua greca. Quindi la forma sᵉlām, pur essendo così evidente (e così interessante per il nostro tema), non rappresenta un elemento di continuità da un eventuale śālôm antico-semitico che è divenuto šālôm.

Conclusioni
Non ha troppo senso, a mio avviso, tentare di trovare l’idea base o l’idea comune della radice šlm nella Bibbia basandosi solo sull’ebraico biblico. Sarebbe più utile partire dal presupposto che ci troviamo di fronte ad una mescolanza di radici e dei loro significati. Basandosi sui sensi attestati in accadico, dove le due radici sono chiaramente distinte sia a livello di verbi che di forme nominali (e sia a livello fonologico che semantico), si potrebbe ricostruirne, in buona parte, lo sviluppo.
Bisognerebbe, forse, riscrivere la radice šlm nei dizionari di ebraico biblico e dividerla in due radici omografe. La radice ebraica I. šlm (da cui šālôm che significa “pace”) va legata alla radice accadica slm e al verbo salāmu. Le derivazioni da questa radice, in parte ancora riscontrabili nel testo ebraico, dovrebbero essere in numero sensibilmente minore rispetto alle altre e dovrebbero apparire nel contesto di “guerra-pace”. La radice ebraica II. šlm (da cui šālôm che significa “benessere, totalità, completezza”, ecc.) va legata alla radice accadica šalāmu. Questo senso si addice alla maggioranza delle occorrenze di šālôm nel testo biblico, comprese quelle che appaiono nelle “formule di saluto”.
Non sappiamo come fosse pronunciata, in epoca biblica, la sibilante iniziale della parola µwlç (se śin oppure šin). È assai probabile che il passaggio ś > š fosse già avvenuto in epoca pre-biblica in ugaritico e in fenicio. In ebraico, invece, la ś si sarebbe conservata, anche se non abbiamo elementi certi per dimostrarlo. Di fatto, all’epoca dei masoreti, il grafema iniziale è stato puntato con šin, confondendosi definitivamente con la radice šlm.
La traduzione greca dei LXX (e, con essa, le traslitterazioni di ebraico e aramaico in caratteri greci) non ci aiuta in quanto in greco non si può rendere la differenza fra le sibilanti dell’ebraico.
Ciò che ha favorito la completa fusione delle due radici nelle lingue dell’antico Canaan è stata (oltre alle difficoltà di ordine ortografico e fonetico) anche la vicinanza del campo semantico della “pace” con quello del “benessere”. Forse che il benessere, la salute, la completezza non vengono favoriti in tempo di pace? Non sono, questi beni, segni caratteristici del tempo di pace? La risposta è ovvia.
In definitiva, una volta accettata questa ipotesi, capiamo perché il concetto di šālôm sia così denso di significati nella Bibbia ebraica; infatti il termine (šālôm) racchiude in sé la ricchezza di due radici che esprimono, allo stesso tempo, un augurio di “pace” e di “pieno benessere”.



Redazione Papaboys (Fonte www.cristianocattolico.it/A cura di Padre Massimo Pazzini)

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