R. – Prima di tutto, i “motel kids” che cosa sono? Sono bambini che abitano con i genitori in queste stanze di motel che negli anni ’50 erano alberghi e sono diventati ora residenza di queste famiglie: ci abitano anche sei, sette, otto persone e non c’è neanche cucina, per cui se anche la mamma volesse fare da mangiare, non ne avrebbe la possibilità. Il 18 aprile 2005 è venuta a trovarmi la mia mamma dall’Italia, da San Bonifacio, Verona, e siamo andati in una zona che si chiama “Boys and Girls Club”, dove i bambini svantaggiati di solito vanno il pomeriggio. C’era un bambino di sette anni che stava mangiando delle patatine e mi dissero che era un “motel kid” e mi spiegarono che molto probabilmente quella sera non avrebbe mangiato per cena. E la prima cosa, da buona mamma italiana, mia mamma mi fa: “Ma Bruno, perché non gli fai un piatto di pastasciutta?”. Questa settimana sono 10 anni che abbiamo iniziato e adesso siamo a 1200 piatti di pasta al giorno tutti i giorni da 10 anni. E pochi giorni fa abbiamo celebrato il pasto numero 1 milione per questi “motel kids”. Ed è un traguardo bellissimo, non il livello del milione, ma del fatto che a livello solidale ho fatto qualcosa di importante a nome di mamma Caterina.
D. – Bene… un numero importante, tant’è che testate internazionali si sono occupate di te, tra cui la Cnn in prima battuta: che cosa vuoi dire, che messaggio vuoi dare ai tuoi colleghi chef italiani?
R. – Io dico che se tutti gli chef del mondo si prendono per mano, cominciando da qui, dall’Italia, possiamo sfamare tutti i bambini che hanno fame. Non si può mandare a letto un bambino perché non ha niente da mangiare. Tutti assieme possiamo fare un cambiamento enorme. Come sappiamo c’è Milano Expo tra poco. Io sono convinto che salvare la Terra e dare nutrizione a chi ne ha bisogno è il minimo che si possa fare.
D. – Per quanto riguarda il tuo arrivo in Italia, c’è anche un premio …
R. – Sì, questa è una cosa meravigliosa ed è per questo che sono arrivato a Roma e poi parto immediatamente per Sarzana, in Liguria, perché il premio che si chiama “Fuori di Casa: Sconfinando 2015″ del Premio Nobel Eugenio Montale, a livello culturale è una cosa meravigliosa, stupenda. Quindi sono molto felice.
D. – La cucina italiana negli Stati Uniti: tu pensi che il cibo italiano possa dare ancora idee nuove, a livello mondiale?
R. – La cucina italiana, in America, è ancora considerata la “numero uno”. La cucina italiana non smette mai di crescere, e quindi continua ad andare avanti. Ma io, a livello solidale, dico che la cucina italiana può sfamare il mondo intero. Se facciamo un piatto di pasta a tutti quelli che hanno fame sfamiamo il mondo intero. Per questo io dico: mandiamo la pasta in primo piano in tutto il mondo, per sfamare tutti quelli che ne hanno bisogno.
D. – In questa settimana si parla molto di immigrazione. Sei un migrante anche tu, perché anni fa sei partito da Verona alla volta degli Stati Uniti, del nuovo mondo: com’è stato per te abbracciare un nuovo Paese, e soprattutto com’è stato il primo impatto con un Paese che non era il tuo?
R. – I miei genitori sono stati i primi ad emigrare: dopo la seconda guerra mondiale sono andati in Francia. Io ho seguito le loro orme ma sono andato un po’ più lontano, sono andato in California. L’America ama l’Italia: mi ha abbracciato e mi ha aperto le braccia; mi ha dato tanto e io – com’è giusto fare quando ti si è dato, bisogna anche dare di ritorno – io sto dando all’America, ai bambini americani un piatto di pasta. Non è una cosa da miracoli, è una cosa talmente semplice … Per quanto riguarda l’emigrazione, io dico che noi italiani siamo stati accettati nel mondo intero: cerchiamo anche noi di accettare chi viene in Italia da immigrato.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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