Lei si chiama Azzurra. In braccio alla madre pesa 3,64 chili di felicità e 51 centimetri di lunghezza e speranza. La sua nascita è l’esempio più lampante di come la vita possa e debba andare avanti anche quando le condizioni esteriori sembrano spingere in direzione opposta. Azzurra è nata martedì scorso, all’ospedale di Belluno, mentre fuori infuriava la tempesta e il Piave raggiungeva i cinque metri di altezza uscendo dai margini. I genitori Federica Zasso e Mirco Da Ronch, di 34 e 38 anni residenti a Toccol (piccola frazione di Agordo), ammettono che il nome era stato scelto mesi prima, perché «ricorda il cielo che ci piace».
Nulla a che vedere con quell’orizzonte nero e minaccioso sotto cui invece è nata Azzurra, all’1.13, con la luce della sala parto che sfarfallava a intermittenza a causa del black-out che aveva colpito gran parte della provincia. L’avventura dei due, anzi, tre agordini inizia lunedì scorso, quando viene riaperta la strada che collega Agordo a Belluno e «riusciamo a passare». «Mi ricoverano subito ma non sanno dirmi l’ora esatta del parto — racconta Federica — così mio marito decide di tornare al lavoro e ci lasciamo con la promessa di rivederci in serata». Poche ore dopo la pioggia cade copiosa, il terreno comincia a sbriciolarsi e le strade vengono chiuse di nuovo. Mirco, che fa l’artigiano ad Agordo, rimane bloccato a casa senza luce, acqua e copertura telefonica. È isolato dal mondo e soprattutto dalla donna che ama e che sta per renderlo padre. «Sono entrata in travaglio da sola — ricorda la moglie — Azzurra è nata quella notte. Fuori sentivo il finimondo e la corrente saltava di continuo. Avevo la percezione che stesse accadendo qualcosa di brutto ma le ostetriche e le infermiere mi hanno fatto sentire a casa, standomi vicine in modo professionale e amorevole».
Come se non bastasse, Azzurra ha il cordone ombelicale attorno al collo. Ma è un attimo e viene liberata. Mirco viene avvisato un’ora dopo. Il suo cellulare è fuori uso ma non quello di suo fratello. «Ho pianto da solo nel letto — ricorda con dolcezza — poi siamo andati ad avvisare i nonni. Per scendere a Belluno abbiamo dovuto aspettare le 18.30 del giorno dopo. Un’attesa infinita». Dopo quasi 32 ore trascorse senza mangiare e dormire, finalmente la vede e tutto il resto, frane, alberi abbattuti dal vento, case e auto sepolte dalle macerie, passa in secondo piano. Venerdì sono ritornati a casa. Tutti e tre. «Rientrare è stato pazzesco — ammette Federica — mi avevano mostrato alcune foto, ma se non la vedi di persona non ti rendi conto della devastazione che c’è stata. La bimba è bravissima, mangia e dorme. È stata un’avventura impegnativa – riporta il Corriere del Veneto – ma siamo a casa sani e salvi». La situazione è tornata alla normalità. Più o meno. In Agordino l’acqua non è ancora potabile e dev’essere bollita per almeno cinque minuti. La corrente elettrica arriva, ma ogni tanto scompare.
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