A Ginevra il 12 aprile 1954 il sindaco di Firenze, davanti ad una sessione mondiale dei sindaci sosteneva il valore delle città per le generazioni future: “Le generazioni attuali non hanno il diritto di distruggere una ricchezza che è stata loro affidata in vista delle generazioni future! Si tratta di beni che derivano dalle generazioni passate e di fronte ai quali le presenti rivestono la figura giuridica degli eredi fiduciari: i destinatari ultimi di questa eredità sono le generazioni successive (et hereditate acquirent eam, Salmo 68)…
Ecco definita la figura giuridica che giustifica la mia presenza fra voi. Sono venuto per affermare il diritto all’esistenza delle città umane, un diritto di cui siamo titolari, noi della generazione presente, ma del quale sono titolari ancor di più gli uomini delle generazioni future; un diritto il cui valore storico, sociale, politico, culturale, religioso si fa più grande a misura che si chiarisce, nella meditazione umana attuale, il significato misterioso e profondo delle città.
Ogni città è una rocca sulla montagna, è un candelabro destinato a rischiarare il cammino della storia. Nessuno, senza commettere un crimine irreparabile contro l’intera famiglia umana, può condannare a morte una città!”. Per capire meglio l’attualità del pensiero lapiriano a 40 anni dalla morte, avvenuta il 5 novembre 1977, abbiamo incontrato a Macerata,su invito dell’Azione Cattolica diocesana, il prof. Ernesto Preziosi, deputato italiano e vice-presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana dal 1995 al 2006:
“Ha avuto l’intuizione di concepire il suo impegno politico a favore della città, non solo perchè è stato sindaco di Firenze, ma ha saputo fare di quella realtà amministrativa un ponte verso il resto del mondo. Quindi ha dato un’immagine di amministrazione cittadina che non si rinchiudeva nelle mura antiche, ma apriva ponti verso i Paesi del Mediterraneo e verso l’Est europeo e del mondo. Quindi ha messo al centro di un politico cristiano, che ha saputo centrare tutto il diritto amministrativo intorno alla centralità della persona. Ciò è una cosa non da poco e che dovrebbe essere al centro del cattolico che si occupa di politica”.
La Pira è stato uno studioso di san Tommaso d’Aquino: oggi la sua visione cattolica della città è praticabile?
“La teologia di La Pira è piuttosto complessa, perchè è un convertito da giovane. Quindi studia le verità della fede attraverso lo studio della teologia di san Tommaso, che trova un riferimento sistematico al pensiero cattolico. Poi su suggerimento del card. Dalla Costa studia la Sacra Scrittura, che alimentano in lui la fede granitica come quella di un bambino”.
Si può affermare che il sindaco di Firenze applica cristianamente il valore della laicità?
“Nel Concilio, l’enciclica ‘Gaudium et spes’ ‘ha messo in crisi un po’ tutti i settori della vita della Chiesa, e non solo, quindi, quelli del clero e del laicato, v’è da dire che nessun discorso sistematico è stato proposto nemmeno sul rapporto Chiesa-mondo’, come ha sottolineato il teologo Luigi Sartori. L’altro testo fondamentale è stato un altro testo conciliare ‘Apostolicam Actuositatem’, che ha offerto spunti di riflessione sull’azione dei laici cristiani.
In occasione della sua candidatura nella DC nel 1976 La Pira scrive una lettera al segretario Benigno Zaccagnini in cui elenca alcuni capisaldi della Costituzione: “Per la comunità italiana, una delle conquiste della Costituzione repubblicana fu quella di garantire i diritti essenziali della persona, ma accanto ad essi si considerò altrettanto essenziale nel nuovo stato democratico l’introduzione e la tutela dei diritti sociali, senza i quali la libertà stessa della persona non sarebbe stata sufficientemente garantita.
Questa organica architettura è visibile nella carta costituzionale. Il diritto di iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (art.41); il diritto di proprietà privata è finalizzato dalla sua funzione sociale (art. 42); la struttura delle aziende è avviata verso la partecipazione (art.46)”.
Per La Pira è compito dei cattolici ridare slancio a quest’opera: ‘Nel rispetto più assoluto degli altri convincimenti, impegniamoci perché ognuno riscopra fino in fondo le radici della propria identità. Sapremo così evitare ogni pericolo di rimettere in discussione la ‘pace religiosa’ che fu uno dei punti sempre coscientemente presenti ai costituenti italiani’. E’ una pagina che richiama il fondamento etico dell’impegno politico. Una pagina che ci fa comprendere il nesso tra laicità e valori, tra laicità e primato del consenso”.
‘La politica è l’attività religiosa più alta, dopo quella dell’unione intima con Dio, perché è la guida dei popoli. Una responsabilità immensa, un durissimo servizio’, scrisse nel 1958 a papa Pio XII: cosa intendeva per ‘servizio politico’?
“Nel 1951, quando fu eletto per la prima volta Sindaco di Firenze, presentando il programma della nuova Giunta, La Pira individuò come suo primo obiettivo la risoluzione dei ‘bisogni più urgenti degli umili’. La relazione tra fede vissuta, dimensione culturale, valori non negoziabili e mediazioni politiche mette talmente in rilievo la centralità della fede e quello che abbiamo chiamato il primato dello spirituale, la scelta religiosa, da far emergere una verità storica. La fede vissuta diventa cultura quando è presa sul serio nella vita.
Mediazione pertanto possibile non solo e non tanto agli intellettuali, bensì a un numero molto più elevato di fedeli. E questo spiegherebbe perché tanti valori sono patrimonio popolare condiviso. Nella città, così come La Pira andava disegnandola, era possibile trovare allo stesso tempo un antidoto alla moderna versione di stato nazionale e una risposta ai segnali che si manifestavano già allora di quella che avremmo chiamato la crisi di partecipazione.
Sotto il primo profilo si pensi a quanto scrive nel 1970: ‘Le Città sono consapevoli di essere patrimonio del mondo, perché in esse si incorporano la storia e la civiltà dei popoli, i ‘regni’ passano, le città restano; un patrimonio che le generazioni passate hanno costruito e trasmesso a quelle presenti, di secolo in secolo, di generazione in generazione, affinché fosse accresciuto e ritrasmesso alle generazioni future’.
Sotto il secondo profilo si può richiamare l’esaltazione che La Pira fece del carattere ‘cittadino’ della responsabilità come risposta alla ‘gigantesca crisi di disancoraggio propria del nostro tempo’. Ancora oggi quindi La Pira offre una testimonianza ‘sui generis’ di quella distinzione che sta alla base di una corretta e feconda visione conciliare di laicità. Ma il suo particolare contributo è tutt’altro che estraneo e marginale, perché nella sua coerente radicalità fa cogliere la necessità per il credente dell’unità con Dio e, allo stesso tempo, dell’impegno grande e generoso per la costruzione della città dell’uomo”.
Fonte www.acistampa.com