Come siete arrivati all’accordo? L’obiettivo di proteggere costituzionalmente il matrimonio come unione fra uomo e donna è stato avanzato mesi fa dal Kdh. Abbiamo annunciato l’iniziativa all’inizio di settembre in risposta all’impatto crescente dell’ideologia gender nel nostro paese, nell’Europa occidentale e in Nord America. E anche in risposta alla proposta di adottare la strategia nazionale dei diritti umani, dove si nascondeva l’imposizione della teoria di genere. Temevamo un attacco alla famiglia fondata sul matrimonio naturale e tradizionale, che appartiene ai diritti umani e che quindi non vogliamo sia messa in discussione né minacciata.
Perché il governo guidato dal socialdemocratico Fico ha accettato? È in controtendenza rispetto al trend europeo e nordamericano. La situazione dell’Est è diversa da quella occidentale. La maggioranza della popolazione slovacca continua ad essere convinta che il matrimonio sia fra uomo e donna: è emerso da tutti i più validi e attendibili sondaggi del paese. Il primo ministro crede più nel supporto della popolazione che in quello dei poteri esterni, da cui continua a ricevere forti pressioni politiche. Fico infatti ha preso questa decisione ora che si è candidato alle elezioni di presidente della Repubblica, ma evidentemente ci crede anche. È giusto ricordare che nel 2012 il programma elettorale dell’attuale governo si concentrava già sul sostegno alla famiglia, sottolineando persino che il matrimonio è solo fra uomo e donna.
Come siete riusciti a costruire questa alleanza? La famiglia e il matrimonio appartengono ai valori fondamentali anche del nostro programma politico. Dieci o quindici anni fa il focus era incentrato tutto sull’integrazione europea, ora invece sulla promozione della giustizia e della solidarietà all’interno del paese: la nostra posizione è stata promossa dentro un dialogo aperto e costruttivo con l’opposizione. La protezione costituzionale del matrimonio era già stata proposta dalla coalizione di centrodestra nel 2010 senza successo, soprattutto a causa del rifiuto degli oppositori liberali. Perciò questa volta abbiamo deciso di riprovarci scegliendo un processo basato sull’approccio personale: ho proposto l’emendamento di nuovo, ma affrontando i parlamentari uno a uno. Così su 150, 40 hanno deciso di firmare la proposta. Ma gli 83 membri del partito socialdemocratico erano ancora dubbiosi, finché a febbraio il presidente del Consiglio ha presentato la riforma costituzionale del sistema giudiziario. Siccome aveva bisogno del nostro appoggio, abbiamo deciso di accettarla dopo discussioni e compromessi in cambio dell’emendamento. Per far passare la riforma avevano bisogno di almeno 90 voti, insieme siamo arrivati a 96. Ma c’è ancora tempo e spero che il consenso aumenti.
Chi è il vostro rivale principale? Fra i critici ci sono i parlamentari del partito liberale, tutti i principali media del Paese, i gruppi e i network internazionali dell’attivismo Lgbt, come ad esempio l’Ilga (International lesbian and gay association) che spinge fortemente contro l’accordo.
La settimana scorsa il Parlamento ha discusso l’emendamento. Cosa è successo? Le ultime discussioni sono state lunghe e controverse e hanno toccato diversi argomenti della riforma, il tutto è stato accentuato dal fatto che siamo in pieno periodo pre-elettorale. Ma sappiamo anche che storicamente è accaduto spesso che i cambiamenti maggiori e gli accordi più decisivi fossero presi prima o immediatamente dopo una tornata elettorale. L’opposizione è divisa, per questo noi siamo stati più volte accusati di sostenere la candidatura del premier Fico. Naturalmente respingiamo ogni accusa: infatti abbiamo avviato il processo molto tempo fa. Inoltre il voto finale avverrà dopo le elezioni presidenziali del 29 marzo.
Quali sono i prossimi passi? La prima votazione è fissata per questo mese e il voto decisivo sarà a maggio, forse prima delle elezioni del Parlamento europeo. Fino ad allora continueremo a lavorare sulle questioni ancora aperte contenute nella riforma della giustizia, al fine di arrivare a un accordo maggiore sull’intero pacchetto.
Prima della Slovacchia anche la Croazia ha protetto il matrimonio naturale per via costituzionale. Recentemente la Romania ha respinto le unioni civili quasi all’unanimità. Secondo alcuni osservatori i paesi che hanno pagato l’inganno dell’ideologia comunista sono più refrattari a piegarsi alle ideologie dominanti rispetto all’Occidente. È d’accordo? Ho visitato la Croazia durante il fine settimana in cui si svolgeva il referendum. In veste di ex Commissario europeo per l’istruzione, la cultura e la gioventù parlai alla Conferenza internazionale sui valori europei proprio di questo: l’Unione allargata è più europea di prima, perché l’Europa è definita più dalla sua cultura e dai suoi valori che non dalla geografia o dal mercato. Le nazioni dei paesi post-comunisti oggi portano all’Unione Europea la memoria viva dei regimi nati da visioni totalitarie e ideologiche. Ricordano che il Ventesimo secolo è stato ferito da ideologie contrastanti l’una con l’altra e che mirando alla costruzione di una nuova epoca e una nuova umanità hanno avuto come esito gli spargimenti di sangue e il relativismo. L’Est può e deve agire in modo responsabile per garantire che il Ventunesimo secolo sia migliore di quello precedente, contribuendo a un’umanità più solidale, che comincia e cresce nella famiglia. Perché ciò che agevola la famiglia si riflette nella società, per il bene dello Stato e il futuro florido di tutta l’Europa. di Benedetta Frigerio*
*La fonte dell’articolo è tratta da: tempi.it
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