Con un Comunicato della Santa Sede del 29 settembre 2018, Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele (del solo San Michele per la Forma Straordinaria), il Santo Padre Francesco ha esortato tutti i fedeli a pregare ogni giorno, per tutto il mese di ottobre, il Santo Rosario, concludendolo con due preghiere significative: il Sub tuum praesidium e la preghiera a San Michele Arcangelo. La ragione di questa duplice invocazione è la richiesta “alla Santa Madre di Dio e a San Michele Arcangelo di proteggere la Chiesa dal diavolo, che sempre mira a dividerci da Dio e tra di noi”, nella consapevolezza che “solo la preghiera lo può sconfiggere”.
La splendida antifona mariana Sub tuum praesidium è un gioiello della tradizione cattolica, risalente con ogni probabilità almeno al III secolo e che accomuna, pur con qualche differenza, l’Oriente e l’Occidente. Non è solo una bella preghiera, ma si tratta dell’attestazione liturgica più antica della Divina Maternità della Madonna, certamente anteriore al Concilio di Efeso (431), a motivo della presenza dell’invocazione Sancta Dei Genitrix (“solo” Dei Genitrix nella versione bizantina ed in quella ambrosiana). La prima attestazione latina si ha nel Liber Responsalis, attribuito a san Gregorio Magno, in una copia del IX secolo. Questo aveva portato alcuni studiosi a ritenere che l’antifona fosse invenzione medievale e che quindi l’espressione della Divina Maternità di Maria dipendesse dal Concilio di Efeso. Invece agli inizi del ‘900, venne ritrovato ad Alessandria d’Egitto un piccolo foglio di papiro, con dieci righe in lingua greca della preghiera, risalente al III secolo. Venne acquistato nel 1917 dalla John Rylands Library e pubblicato nel 1938. L’espressione vocativa Theotóke risultava dunque già in uso nei primi secoli del cristianesimo. D’altra parte, lo stesso tenore dell’invocazione lascia intendere che la SS. Vergine fosse ritenuta ben più che una semplice santa; la richiesta di rifugiarsi in lei ha un parallelo nei Salmi, che si rivolgono a Dio stesso: “Sii per me la rupe che mi accoglie, la cinta di riparo che mi salva” (31[30], 3); “ Signore, tu sei stato per noi un rifugio” (90[89], 1), “Tu che abiti al riparo dell’Altissimo e dimori all’ombra dell’Onnipotente, di’ al Signore: Mio rifugio e mia fortezza” (91[90], 1), “Salvami dai miei nemici, Signore, perché in te ho trovato rifugio” (143[142], 9). In tutti questi testi le parole “rifugio”, “rifugiarsi” sono espresse nella versione greca della LXX da derivazioni del verbo katapheúgo, che ritroviamo proprio nell’antifona mariana. I cristiani dei primi secoli si sentivano dunque a loro agio nel passare indifferentemente dalla richiesta di rifugio in Dio a quella nella Vergine, segno che si riconosceva che la Madonna partecipa in modo tutto speciale alle prerogative della Divinità.
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La versione romana indica il rifugiarsi sotto il “presidium” della Vergine Maria, che non è solamente la protezione, ma indica il presidio militare, la scorta armata, rievocando così l’immagine del Cantico dei Cantici dell’amata “terribile come schiere a vessilli spiegati” (6, 4). Invece la versione bizantina riporta “sotto le tue viscere”, cui è rimasta fedele quella ambrosiana nell’espressione “sub tuam misericordiam”. E’ interessante notare questo intreccio tra un’espressione di tenerezza materna, le viscere appunto, ed un’espressione di forza, come il presidio militare. “Confugimus” traduce il termine greco Katapheúgomen (come dicevamo sopra), ed esprime perciò l’andare di corsa, indicando così un pericolo imminente che incalza. L’antifona si delinea come un atto di fiducia nella Madre di Dio, nella sua misericordia che accoglie e nella sua potenza che sa proteggere, ed anche della consapevolezza dei tanti pericoli da cui siamo sempre insidiati, consapevolezza certamente più acuta nei tempi di persecuzioni dei primi secoli, in cui questa invocazione affonda le radici, tempi di smarrimento e di grande sofferenza, molto simili ai nostri.
Il Santo Padre offre così un’occasione per riscoprire questa preghiera, per praticarla ed anche per cantarla, secondo la bella melodia gregoriana, invocando all’unisono con la tradizione della Chiesa la potente protezione materna di Maria Santissima.
Il Papa chiede anche di ricorrere al Princeps militiae caelestis. Già il 5 luglio di cinque anni fa, a pochi mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, Francesco, con la presenza di Benedetto XVI, consacrava la Città del Vaticano a San Giuseppe e a san Michele. Ora, una nuova iniziativa per chiedere la sua protezione ed il suo intervento in questo tempo di grande prova per la Chiesa.
E’ perlopiù nota l’origine di questa preghiera. Il 13 ottobre 1884, Leone XIII, dopo aver celebrato la Santa Messa, assistette ad una seconda Messa in ringraziamento. I presenti notarono che il Papa si era soffermato a guardare qualcosa, trascolorando. Al termine della Messa, Leone XIII si ritirò nel proprio ufficio e mise per iscritto il cosiddetto Exorcismus in Satanam et Angelos Apostaticos. Diede poi disposizione che, al termine delle Messe lette, alle altre Preci leonine già in uso nella Chiesa universale dal 6 gennaio di quello stesso anno, venisse aggiunta anche la Preghiera a San Michele. Le Preci leonine vennero in seguito ufficialmente soppresse da una laconica frase dell’Istruzione Inter Oecumenici del 26 settembre 1964: “Preces Leonianae supprimuntur”. Erano i tempi dell’ingenua apertura al mondo, della presunta primavera della Chiesa: san Michele poteva andare in cassa integrazione.
Nessuno seppe mai con precisione quello che effettivamente Leone XIII vide in quel 13 ottobre. Sembra che il nucleo essenziale della visione fosse un assalto in grande stile dei demoni alla Basilica di San Pietro, al punto da farla tremare, ed un dialogo, simile a quello che ritroviamo nell’esordio del libro di Giobbe, tra Dio e Satana, il quale chiedeva circa un secolo per tentare di distruggere completamente la Chiesa. Qualcosa di vero, in queste “voci” ci dev’essere, visto che nella prima versione estesa dell’Esorcismo, pubblicata negli Acta Apostolicae Sedis del 1890-91, si trova scritto: “Ubi sedes beatíssimi Petri et Cáthedra veritátis ad lucem géntium constitúta est, ibi thrónum posuérunt abominatiónis et impietátis suæ; ut percússo Pastore, et grégem dispérdere váleant”. Tradotto suona così: “[I demoni] hanno posto il trono dell’abominio e dell’empietà là dove è stata stabilita la sede del beatissimo Pietro, cattedra di verità per illuminare le genti; affinché, percosso il Pastore, riuscissero a disperdere il gregge”. Insomma, Leone XIII non deve aver visto un assalto “generico” alla Chiesa, ma specificamente al successore di Pietro: insomma, i demoni coinquilini dei Papi e da quella sede lo spargimento di empietà e abominio, con lo smarrimento del gregge di Cristo; una prova terribile ma momentanea, certo, perché le forze degli inferi non possono prevalere, ma non per questo meno reale e meno tragica, visto lo smarrimento del gregge. La visione di Leone XIII probabilmente altro non era che quello che il paragrafo 675 del Catechismo, di recente richiamato da Mons. Gänswein, descrive come “la prova finale che scuoterà la fede di molti credenti”, il “mistero di iniquità sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità”. Ma il riferimento al Soglio petrino è roba da far tremare i polsi.
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Il ritorno di questa supplica all’Arcangelo Michele al termine del Santo Rosario è senz’altro una benedizione e sarebbe auspicabile che i sacerdoti la reintroducano anche al termine della S. Messa, dal momento che ne è sì cessata l’obbligatorietà, ma non la possibilità di pregarla comunque. Sarebbe sicuramente più utile dei nuovi congedi pseudo-liturgici molto in voga: “buona giornata”, con tanto di risposta dell’assemblea: “Grazie, altrettanto”.
Fonte www.lanuovabq.it/Luisella Scrosati
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