Sergio Centofanti – Città del Vaticano
L’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma si è detto pronto già da tempo ad accogliere Alfie Evans per assisterlo fino alla fine. Il bimbo inglese, di quasi due anni, è affetto da una patologia neurologica degenerativa non ancora conosciuta ed è ricoverato presso l’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool. I medici inglesi vorrebbero staccare il ventilatore che lo tiene in vita perché – dicono – è nel suo “miglior interesse”. I genitori di Alfie stanno facendo di tutto per trasferire il figlio altrove. Anche i giudici inglesi finora hanno detto no. Adesso l’ultima parola spetta alla Corte Suprema del Regno Unito. Sulle iniziative intraprese dall’Ospedale pediatrico del Papa, abbiamo intervistato la presidente Mariella Enoc.
Presidente Enoc, che cosa sta facendo attualmente il Bambino Gesù per il caso Alfie? “Intanto è giusto precisare che noi ci stiamo muovendo dal luglio dell’anno scorso. Nel settembre sono andati i nostri medici e abbiamo continuamente ripetuto la disponibilità dell’ospedale. Ieri ho incontrato il papà di Alfie, Thomas, e ho potuto vedere veramente una grande determinazione di far vivere il loro figlio. Allora, ho parlato con i nostri medici e ho scritto due lettere. Una lettera indirizzata al papà, in cui esprimo il nostro desiderio di una collaborazione stretta con i medici dell’ospedale inglese per i quali c’è, da parte di tutti i colleghi, grandissima stima ma chiediamo di fare un’alleanza insieme per potere continuare almeno un percorso diagnostico, dove naturalmente tutto sarà condiviso, mentre noi manteniamo in vita il bambino. I nostri medici hanno fatto una nota di approfondimento, rispetto alla prima che avevano fatto a settembre, dove ribadiscono il desiderio di prenderci in cura il bambino, condividendo sempre tutto con i colleghi inglesi, e dove spiegano che noi trasportiamo moltissimi bambini e quindi non possiamo negare che un minimo rischio ci sia, ma questo vale per ogni bambino … Noi possiamo aiutare anche per il trasporto aereo. Quindi tutto naturalmente è a carico dell’ospedale Bambino Gesù, non è a carico di nessuno. Su questo io ho proprio invocato un’alleanza con i medici, con l’ospedale e con le autorità inglesi. Ho dato anche la disponibilità mia e di qualche mio collaboratore, se fosse necessario, ad andare a Liverpool ad andare a portare direttamente il nostro pensiero”.
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Quale cura propone il Bambino Gesù per Alfie? “Noi non proponiamo nessuna cura. Il bambino in questo momento non è guaribile, il bambino è curabile… e secondo il nostro concetto questo significa prendercene cura. Quindi, non faremo certamente accanimento terapeutico; i nostri medici hanno deciso di mettere al bambino eventualmente una PEG, per l’alimentazione, e una tracheotomia per la respirazione, qualora si rendesse assolutamente necessario… E naturalmente si potrebbe approfondire la diagnosi. Molte malattie sconosciute in questi anni, anche rapidamente, sono state conosciute e quindi non ci si può arrendere di fronte al volere che la scienza continui i suoi percorsi. Quindi noi non abbiamo in questo momento una cura. Mentre per Charlie Gard c’era una cura sperimentale, in questo momento, no; anche perché la malattia non è stata esattamente ancora diagnosticata.
A suo avviso ci sono speranze per questo trasferimento? “Non lo so perché, ovviamente, la nostra non è una posizione di chi vuole essere più bravo di un altro. Però noi sappiamo che non molliamo mai e poi quando si decide che il bambino non ce la fa lo si accompagna lentamente alla sua morte naturale”.
Lei ha avuto l’occasione di parlare anche con il Papa? “No, il Papa ieri mi ha fatto chiamare dalla Segreteria di Stato, quindi ho parlato con il segretario di Stato e con il sostituto, con i quali mi sono tenuta in contatto anche per le due lettere che ho inviato. Il Santo Padre mi ha fatto comunque sapere di fare il possibile e l’impossibile, mi ha detto, perché il bambino venga al Bambino Gesù. Questo è quello che il Papa mi ha fatto sapere subito dopo il colloquio con Thomas. E quindi, era quello che stavamo facendo… Diciamo che ieri ho cercato di farlo nella maniera più attiva possibile. Quello che potevo fare era scrivere due lettere e poi offrire la nostra disponibilità”.
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