Credo che ognuno di noi si sia posto una domanda che lo ha torturato e ancora lo tortura: “Perché esiste il peccato? Perché ci sono cose proibite e che si considerano peccato?”.
Sono convinto che solo pochi di noi sono stati esentati dal dubbio: “Può darsi che il peccato sia solo un’invenzione creata solo per farci spavento, per tenerci legati, per imporci più facilmente degli ordini”.
Non abbiamo forse covato in qualche recesso della nostra anima il dubbio che il peccato lo hanno creato i vecchi, i genitori, i preti, la Chiesa o altri che si sono riferiti a Dio per esercitare con maggior facilità il proprio potere?
Può darsi che tutto appaia più chiaro se vi racconto dell’esperienza che porto dentro di me.
Fin dagli anni di seminario mi torturava un interrogativo che pure sembrava tanto semplice: “Perché qualcosa è peccato?”. Non ho mai osato porre questa domanda agli altri perché pensavo che essa avrebbe potuto farmi diventare, se non stupido, sicuramente ateo. Eppure tale quesito, come un’ombra nera, mi ha perseguitato e tormentato durante tutti gli anni di studio.
Quando sono diventato sacerdote ho cercato di prendere seriamente la Santa Confessione. Ma il mio interrogativo si faceva più complesso. Ascoltare le molte esperienze altrui faceva sì che avvertissi nel mio intimo che parecchi non avessero compreso veramente in che cosa consiste il peccato. E quando si confessavano, passavano facilmente oltre, per cui non si aveva la certezza che fosse sincero pentimento.
Da giovane sacerdote, poi, ho avuto una profonda crisi. Mi chiedevo: “Perché la Confessione?”. Dall’altare si annuncia la lieta novella. Si parla di peccato e si prega affinché si arresti l’abitudine al peccato. Eppure, molto di rado sentivo qualcuno in confessione riferirsi alla Parola di Gesù o all’Omelia e dimostrarsi convinto dell’urgenza di smettere di peccare. Mi sono allora chiesto nel profondo della mia anima: “Che senso ha fare le prediche? Perché confessare?” Tentavo di vedere almeno qualche differenza tra una confessione e l’altra. E poiché non riuscivo mai a distinguerne una, la domanda dentro di me diventava sempre più complessa ed intricata.
Ora mi rendo conto che qui ha inizio il dramma del ministero del sacerdote, cioè quando egli non riesce a dare un’identità, un significato alla sua missione. Allo stesso modo anche molti cristiani hanno difficoltà con la confessione, soprattutto i giovani! Incontrano gli stessi ostacoli! E si ripropone lo stesso dramma: “Perché devo raccontare quello che mi succede al sacerdote?”.
Accade quindi che molti si limitano solo a cose superficiali, considerano l’apparenza e non la sostanza, così che nascondono e tacciono ciò che è realmente essenziale. E’ successo di sicuro a tutti i giovani. Particolarmente negli anni di maturazione e dello sviluppo in generale. E’ proprio in questo periodo, infatti, che parecchi hanno smesso di confessarsi. Ed ecco così l’amarezza e l’inquietudine del sacerdote: coloro che si devono confessare non si confessano e, quelli che lo fanno, prendono la cosa con faciloneria e leggerezza!
Mi ricordo bene di una credente che mi aveva chiesto di parlare della Confessione, mettendo però bene in chiaro il fatto che non voleva confessarsi. La sua prima domanda fu: “Perché mi devo confessare ad un sacerdote che è un uomo come me? Io lo faccio direttamente con Dio”.
Mi sono fermato un momento. Sono rimasto stretto in una morsa. Questa era anche la mia domanda!… Non sapevo nemmeno io come rispondere. Allora le ho detto: “Anch’io ho lo stesso problema con la Confessione. Perché le persone si devono confessare ad un sacerdote che è solo un uomo? Può darsi che sia solo perché i sacerdoti sono curiosi e vogliono scoprire quello che avete fatto! Penso che nessuno dica poi qualcosa di nuovo. Il sacerdote conosce tutti i peccati, tutti i fatti degli uomini. Questo è il mio problema anche dal mio punto di vista!”.
Allora, anche lei si è fermata e nello stesso momento ci siamo capiti: qui nel Sacramento c’è qualcosa di diverso.
Si tratta di un incontro, il più straordinario che ci sia: l’incontro con Cristo che è nel più meraviglioso dei modi l’incontro tra il ferito ed il medico, tra il peccatore ed il Santo, tra l’offeso ed il Consolatore, tra uno che è degradato e Colui che risolleva i degradati, tra uno che ha fame e Colui che sazia ogni digiuno, tra uno che si è perso e Colui che lascia le novantanove pecorelle per cercare quella sola smarrita!
Insomma, l’incontro tra uno ormai al buio e Colui che afferma di essere la Luce.
Tra uno che è senza strada e Colui che disse di essere la Via.
Tra uno che è morto e Colui che assicura di essere la Vita.
Tra il solitario e Colui che vuol essere l’amico più vero. Parlammo molto e allo stesso tempo guarivamo insieme e riuscivamo a penetrare il senso della confessione.
“Cari figli! Oggi desidero avvolgervi con il mio manto e condurvi tutti verso la via della conversione. Cari figli, vi prego, date al Signore tutto il vostro passato, tutto il male che si è accumulato nei vostri cuori. Desidero che ognuno di voi sia felice, ma con il peccato nessuno può esserlo. Perciò, cari figli, pregate e nella preghiera conoscerete la nuova via della gioia. La gioia si manifesterà nei vostri cuori e così potrete essere testimoni gioiosi di ciò che io e mio Figlio desideriamo da ognuno di voi. Vi benedico.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata!” (25.2.1987).
Catechesi tratta dal volume: Dammi il tuo cuore ferito di P. Slavko Barbaric
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