La ragazzina disabile lapidata a Milano e la terribile forza dell’anonimato

Una ragazzina italiana di 13 anni con ritardo mentale che si trovava in un giardino pubblico di Milano, è stata presa a sassate da quattro o cinque coetanei. Se l’è cavata perché ha telefonato alla mamma che ha subito fatto intervenire la polizia.

Questa non mi sembra una questione che riguarda solo il rispetto del più debole, del disabile, o dell’accettare chi è diverso da noi. A me sembra ci sia qualcosa di più. Io mi sento di aggiungere la parola carnefice perché la parola bulli sa troppo di sit com americana con risate registrate di sottofondo. Qui, di sottofondo, ci vogliono le lacrime, quelle vere, non registrate. Non basta il pianto della ragazzina per il dolore e l’umiliazione. Non bastano le lacrime di rabbia della madre che l’ha soccorsa. Dovremmo piangere tutti perché la cosa è ancora più grave. Penso che, se intervistati, i genitori dei “bulli/carnefici” direbbero che il figlio “è un ragazzo che non lo ha mai fatto e mai lo farebbe e che non sanno spiegarsi come sia successo”.

Perché, forse, è successo che ciò che un uomo mai farebbe da solo, lo fa – certamente e terribilmente lo fa – se coperto dall’anonimato del gruppo: pensiamo a cosa succede ogni giorno su Twitter o Facebook. È la lapidazione che dà questo meccanismo: se siamo stati tutti non è stato nessuno. Io da solo, una sassata faccia a faccia con una ragazzina disabile non gliela darei mai, ma se siamo in tanti, il noi diventa l’anonimato che copre una carneficina terribile e vigliacca: non sono stato io, lo abbiamo fatto tutti insieme.

Scommetto che prima dei sassi ci sono stati insulti e prese in giro. Scommetto che è stato un coro. La dinamica è sempre quella: e, in un coro, le voci non si sanno riconoscere. Così non si saprà mai chi ha lanciato il primo sasso: è la sassaiola iniziata all’unisono, come il coro. La lapidazione funziona così non solo nel deserto sassoso dell’Isis.

Così l’uomo diventa un assassino con le mani pulite. Non è un bel vedere, non è un bel sentire, non è un bell’essere uomini. Poi potremo anche parlare del vuoto educativo, della mancanza di valori e della gioventù di oggi, ma io preferisco soffermarmi sul “se siamo stati tutti non è stato nessuno” perché riguarda tutti noi: dallo sporcare le strade al non pagare le tasse al corrompere al modo di stare sui social. Certo ancor più odioso è che sia rivolto al diverso e al disabile, ma non voglio fermarmi lì perché tante volte, ogni giorno, anche io mi mimetizzo nelle molteplici sfumature di grigio del “siamo stati noi tutti”. Dal grigio quasi bianco dell’infanzia, quando una rapida occhiata tra fratelli ci metteva tutti d’accordo a tacere quando il pallone era volato da solo a rompere il vaso, al grigio-nero delle lapidazioni che formalizzano le faide, le vendette, i riti ancestrali che sacrificano il capro espiatorio.

Di Don Mauro Leonardi

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