Il calvario di Grazia, una giovane ragazza dello Zambia, la cui malattia non ha scalfito, ma accresciuto, la fede fino all’ultimo istante di vita. Rivive in lei l’eco della voce di San Paolo: “Per me vivere è Cristo e morire un guadagno”
.Padre, ho paura che mia figlia non ce la faccia a superare la settimana… Fa una fatica tremenda a respirare! Non potresti venire oggi a visitarla, confessarla e darle l’Eucarestia?
Sto partendo per Ndola, dove mi attendono i Novizi per la lezione biblica settimanale, poi ho già confermato alcuni appuntamenti che mi porteranno via parecchio tempo. Forse ce la farò domani.
e sorridendo aggiunsi:
Non si chiama Grazia, tua figlia? Prega il Signore che le dia ‘la grazia’ di resistere fino al mio arrivo: la confesserò, le darò l’olio degli infermi, e soprattutto le darò Gesù stesso in carne e ossa.
Stavo per mettere in moto, quando vidi tre vecchiette oltrepassare il cancello quasi di corsa per non permettermi di svignarmela indenne. “Santo cielo! – pensai – proprio oggi che sono già in ritardo!” Erano la vecchia Kasengele, con quattro orfani dai 10 ai 16 anni, nonna Faustina, pure con quattro orfanelli dai 4 ai 13, e la nonna di Hala Farm, con undici orfanelli (fratelli o cugini primi) dai 3 ai 14 anni lasciati da tre coppie portate via dall’AIDS! Due delle tre vecchiette erano venute a piedi dalla zona di Chimwemwe: otto chilometri abbondanti, non potevo rimandarle a casa a mani vuote. Le servii a velocità massima e partii per Ndola. Divorai gli ottanta chilometri, spingendo la macchinina un po’ oltre prudenza e riguadagnai i minuti persi (tanto le tre nonnine mi avevano promesso di pregare per tutta la durata del mio viaggio) dando inizio, quasi in orario, alla lezione sul Vangelo di Luca, il mio preferito. Poi riuscii anche ad assolvere agli altri vari impegni a spron battuto, ma mentre guidavo da una parte all’altra della città, mi pareva di vedermi comparire davanti il volto teso, emaciato della giovane Grazia:
Forse avrei dovuto darle priorità assoluta, o almeno annullare gli appuntamenti. Dalle forza, Signore e confermala nella speranza, facendole sentire la Tua presenza al suo fianco. Fa che la trovi viva domani, ti prego.
Il giorno dopo avevo tre S. Messe. Dopo la seconda decisi di andare da Grazia. Mi stavo avvicinando alla casa, quando vidi il papà che in bicicletta stava andando verso la chiesa e lo chiamai: “Come sta tua figlia?” “Ti sta aspettando con ansia!” Gli feci dare la bici a un catechista, perché la portasse alla chiesa e lo feci salire in macchina con me.
Stanotte ha avuto un momento tremendo. Credevo stesse spirando. Mi sono inginocchiato vicino al letto e ho pregato a lungo, con tutta l’anima e tutta la mia fede, fin che la vidi riprendersi un poco. Sia ringraziato il Signore.
Mi affrettai a entrare in casa e, come mi vide, Grazia ebbe un grosso sussulto: chiuse gli occhi e mi afferrò una mano, stringendomela a lungo con forza insperata, mentre un sorriso stupendo le fioriva sul volto, pur se velato di lacrime copiose.
Sto stringendo non la tua mano – bisbigliò con fatica – ma quella di Gesù. Grazie per avermelo portato, Padre!
Vuoi la confessione, Grazia? Sai già tutto di me e Gesù lo sa anche meglio: assolvimi e dammi il Signore, subito, ti prego! L’unzione degli infermi me la puoi dare anche dopo”.
Mi affrettai a tracciarle l’assoluzione, povera piccola crocifissa dal dolore e dalla fame d’Eucarestia!
Hai tanta voglia di Lui? Dimmi, Grazia, con tutto il male che ti senti addosso, tu continui a credere che Lui ti vuole tanto bene, non è così? Pur se permette che tu stia tanto male, tu continui a credere nel suo infinito amore per te, vero?
Come potrei dubitarne? Lui è morto per me sulla croce per salvarmi! Anch’io voglio accettare la mia croce. La metto in mano a Lui: la mia croce unita alla sua. Sono crocifissa con Lui ora.
E qui mi chiese di aiutarla a sedersi sul letto per ricevere il suo Signore con decoro. Abbreviai la liturgia, per non farla attendere oltre: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. Le misi l’ostia sulla lingua e l’aiutai ad inghiottirla con un sorso d’acqua. “Grazie, Gesù. Grazie Padre Umberto!” e si lasciò cadere sul cuscino, col volto marcato dal dolore eppure da inesprimibile gioia. Avvicinai la mia bocca al suo orecchio e le sussurrai:
I casi sono due: Gesù potrebbe guarirti adesso, oppure potrebbe chiamarti nel suo Regno: tu cosa vorresti chiedere, bimba mia?
Tutte e due mi andrebbero bene, ma forse la seconda scelta sarebbe la migliore!
Non hai paura della morte, bimba mia?”
Mi guardò a lungo, con intensità, e di nuovo le sbocciò quel suo glorioso sorriso:
Per nulla affatto! Me lo sento vivo nel cuore: mi ha già preparato il posticino nel suo Regno.
La terza S. Messa fu un’apoteosi di fede, quasi per caso. Ciò che mi ispirò fu la seconda lettura offerta dalla liturgia del giorno, letta con estrema passione da un’altra ragazzina. Il senso di ciò che Paolo diceva ai Filippesi era:
Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia dal mio vivere, che dalla mia morte. Ovviamente, vivere per me è Cristo, e morire sarebbe assai meglio per me. Ora sono colto dal dilemma: vorrei tanto andarmene con Cristo – il che sarebbe assai meglio per me; d’altra parte, restare vivo in questo mio corpo con voi, potrebbe essere cosa più urgente e utile per voi.
Sia il testo, che l’appassionata lettura mi penetrarono fino all’osso, forzandomi a mettere da parte l’omelia che avevo preparato. Mi permisi, invece, di raccontare all’assemblea ciò che avevo vissuto con immensa emozione pochi minuti prima con la piccola Grazia sofferente che aveva mostrato di pensarla come Paolo: “andarmene con Cristo sarebbe assai meglio per me”. Sentire di una ragazza poco più che ventenne, che sa vivere con fede gioiosa il proprio Calvario, ma che sa anche tradurre la propria morte in un invito a nozze nel Regno dell’Amato, non è cosa di tutti i giorni. Il lungo applauso della comunità commossa (molti fino alle lacrime) mostrò come l’assemblea aveva interiorizzato il messaggio. Quarantotto ore dopo, Grazia spirò con commovente serenità. Grazie, piccola Grazia! Hai dato nuovo spessore anche al mio Sacerdozio.
di Padre Umberto Davoli, missionario in Zambia per MissioneFrancescana.it
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