Esiste una bellezza che và al di là del semplice soddisfacimento dei sensi e che coinvolge l’ambito intellettivo e spirituale? Coloro che hanno conosciuto santa Teresa d’Avila, raccontano che era una donna molto bella; aveva i capelli neri e le mani bellissime, il viso proporzionato, la carnagione bianchissima, il sorriso amabile e quando parlava di Dio si animava di una forza incantevole.
Nella sua autobiografia, Teresa, dice: “Dio mi ha dato la grazia di piacere a chiunque”. Ai nostri giorni leggere o ascoltare una simile affermazione, ci induce a pensare che Teresa d’Avila fosse guarnita di un’avvenenza universale ed avesse dei modi gradevoli e arrendevoli al punto da suscitare la simpatia e l’ammirazione di coloro che la avvicinavano.
Chi ha letto le sue opere, vi scorge un linguaggio di una semplicità infantile, ma illuminato di Sapienza e di Verità che segnato dalle esperienze mistiche, approdano alla teologia spirituale, usando il metodo della narrazione.
Teresa d´Avila conferma la strada della “teologia narrativa” come rilevato nei Vangeli e in gran parte dei libri sacri, poiché sopra ciò di cui non si può tacere, si deve narrare.
Teresa d’Avila racconta le sue esperienze soprannaturali, ma il suo primo libro autobiografico viene sequestrato dall’inquisizione senza che questa però, vi ravvisi alcuna traccia di eresia. Su santa Teresa d’Avila è stato detto e scritto di tutto: una persona allucinata e suggestionabile, una femmina sessualmente repressa, una indemoniata, una donna indecisa e ipocondriaca, una masochista.
Sembra che a parlare dell’Amore trasformante di Dio, si venga etichettati, perseguitati, diffamati, ma mai dimenticati, perché altrimenti come spiegare l’interesse dell’uomo contemporaneo verso una mistica vissuta nel pieno rinascimento spagnolo?
Considerando che la donna in quel periodo storico non aveva accesso all’istruzione e che le era negata qualsiasi forma di autonomia, poiché il lavoro della donna era finalizzato alla formazione della dote, elemento fondamentale per contrarre il matrimonio. Nella Chiesa la condizione della donna non è diversa da quella civile, le religiose non possono parlare in pubblico di temi teologici o fare commenti sulle scritture, né possono studiare teologia, riservata ai presbiteri.
In questa condizione, cosa può insegnarci una donna limitatamente istruita, assolutamente non emancipata e malaticcia per gran parte della sua vita? Sembrerebbe un paradosso dargli credito, ma gli insegnamenti di Teresa d’Avila sono contenuti nella sua vita, nelle sue opere e nei suoi scritti. Con i pregiudizi che esistevano nei riguardi della donna dell’epoca, quando bastava veramente poco perché fosse trascinata davanti ai tribunali dell’inquisizione, Teresa d’Avila riesce a istituire ben diciassette monasteri, un convento assieme a San Giovanni della Croce dedicato ai carmelitani scalzi, quattordici case per le carmelitane e infine a riformare l’ordine del Carmelo.
Davvero estesa è la produzione letteraria della Santa nella quale traviamo: l’autobiografia, le relazioni spirituali, il cammino di perfezione, il castello interiore, i pensieri sull’amore di Dio, le esclamazioni dell’anima a Dio, le fondazioni, le costituzioni delle carmelitane scalze, le poesie. In Teresa d’Avila individuiamo l’instancabile e paziente Maestra spirituale, l’intermediatrice di un’umanità che attende di essere liberata dall’inquietudine e dalla sofferenza, o che aspira ad una maggiore perfezione cristiana, l’umile religiosa che si dedica alle consorelle, l’imputata di tanti processi civili e religiosi, ma anche la vittima dei tormenti di Satana che vedeva in Teresa d’Avila una grande nemica.
Estasi e visioni costellano la vita della santa ed ogni volta che le visioni terminano, in Lei lasciano una sensazione di disorientamento, come se la realtà non avesse più un confine nitido con la realtà, mentre le estasi Le provacano uno profondo spossamento, come dopo un atto irruento e passionale, ma capace di infondere anche pace, dolore e dolcezza. Per comprendere quanto l’Amore di Dio fosse esclusivo nei riguardi di Teresa d’Avila, riporto la seguente testimonianza autobiografica: “Pensando poi alla miseria di questa vita che ci impedisce di stare sempre in quell’ammirabile compagnia, andavo dicendo tra me: Signore, datemi qualche mezzo per poterla sopportare! Ed Egli: “Pensa, figliola, che dopo morte non mi potrai più servire come ora. Mangia per me, dormi per me, quello che fai fallo per me, come se non vivessi più per te, ma solo per me”.
Anche il seguente racconto autobiografico, rivela quanto una visione può avere una connotazione sensoriale quasi tangibile e che qui rendo fedelmente: “La domenica delle Palme, appena fatta la comunione, mi trovai in così grande sospensione da non poter neppure inghiottire la Sacra Ostia. Tornata alquanto in me stessa, e avendola ancora in bocca, mi parve che la bocca mi si riempisse di sangue, e che di sangue mi sentissi bagnato il volto e tutta la persona: un sangue caldo, come se nostro Signore l’avesse versato allora, allora”.
Gli insegnamenti della Santa arrivano all’apice con l’opera, il “Castello interiore” dove con la metafora delle stanze, Teresa spiega come sia possibile che le anime dalla prima stanza, o al di fuori del castello, cioè nello stato di peccato mortale, giungano alla settima stanza, la stanza più vicina a Dio.
Ma Teresa d’Avila è una mistica e la poesia costituisce il linguaggio a lei più congeniale, in quanto con meraviglia si entra nel suo stato di grazia. La poesia che meglio di altre rappresenta lo specchio interiore della Santa è lo stralcio che ora riporto: “Vivo, ma in me non vivo/per quanto la morte imploro/che mi sento di morir, perché non moro./Più in me non vivo e giubilo,/vivo nel mio Signore,/che per se mi volle, e brucio/per lui d’intenso ardore./Gli diedi il cuore, e in margine/scrissi con segni d’oro:/Mòro perché non mòro”.
E quel cuore che Ella offrì a Dio è possibile osservarlo nella teca ad Alba de Tormes, dove sono visibili le ferite, superiori ai cinque centimetri che la Santa subì ad opera di un Angelo e che descrisse dopo un’estasi: “Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era cosi vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era cosi grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio cosi soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che io supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che io mento”.
L’evento soprannaturale è rappresentato in una celebre scultura del Bernini collocata presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria in Roma. Santa Teresa d’Avila il cui nome civile era Teresa Sánchez de Cepeda Ávila y Ahumada, nacque ad Ávila il 28 marzo 1515, morì ad Alba de Tormes il 15 ottobre 1582, venne santificata il 12 marzo 1622 e nel 1970 è stata dichiarata Dottore della Chiesa.
Redazione Papaboys (Fonte www.terraincognitaweb.com)