La scelta del limite è l’essenza politica

È inevitabile? È un inequivocabile portato della modernità e del progresso? Il combinato disposto di due recenti sentenze accredita queste domande retoriche e invita a riflettere. Secondo il tribunale di Grosseto la nostra legislazione non esclude il matrimonio omosessuale. Secondo la Corte costituzionale il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale. Così, per l’asettica strada giurisprudenziale si tranciano questioni politiche di enorme rilievo. Con buona pace del dibattito pubblico e della stessa deliberazione politica. Perché la cosiddetta bio-politica, cioè le decisioni sulla persona umana, la sua manipolazione, la decisione sui limiti e sugli indirizzi della tecnica e dell’economia, è in realtà una delle frontiere più delicate e sensibili, dunque importanti della stessa politica e della legislazione, oggi e per il prossimo futuro. La linea culturale e dunque legislativa e politica che esalta il binomio libertà-mercato, con questa forzatura (pressoché) tutto finisce col giustificare, “col rischio di confondere o, peggio, identificare il piano dei desideri con il piano dei diritti”.

Invece non tutto quello che è possibile può essere lecito. Anzi, l’essenza della politica è proprio la scelta, la scelta del limite. Che non può essere delegata al mercato, che tanti guasti è capace di commettere, come stiamo constatando e non si stanca di ripetere il Papa. Perché qui c’è un altro equivoco, che poi è una (ulteriore) forzatura: come se il magistero di Papa Francesco avesse sancito il rompete le righe sui grandi temi della famiglia e della vita. Contrapporre l’attenzione per i poveri e i problemi sociali a quella per la famiglia e la vita è un vecchio e sterile esercizio ideologico. Invece, quando la persona è in questione, tutto si tiene, anche nelle preoccupazioni e nel magistero ecclesiale. E Papa Francesco è di una chiarezza adamantina, a trecentosessanta gradi, tutti chiamando alla conversione.

E proprio dalla persona, dalla realtà umana elementare bisogna ripartire, come con chiarezza hanno detto i vescovi italiani – espressamente delegati dal Papa fin dal primo incontro, nel maggio di un anno fa a misurarsi sui temi della politica e della legislazione nel nostro Paese – in due dichiarazioni a commento delle due sentenze, ricordando che “la cultura giuridica non dovrebbe semplicemente avvalorare il dominio della tecnoscienza, ma porsi la questione del senso e anche quella del limite. Infatti, come la storia ha dimostrato, non tutto ciò che è fattibile giova al genere umano”. Sgretolare la legge 40 o l’identità della famiglia così come tratteggiata senza equivoci nella nostra carta costituzionale non è un atto di liberazione, men che meno da una inesistente egemonia cattolica. Ci lascia invece più poveri e più confusi di fronte ad un presente difficile e ad un futuro incerto, in un’Italia che ha già raggiunto e superato il punto di non ritorno del declino demografico, ma che ha bisogno e vuole rilanciarsi, da tutti i punti di vista. E ne ha la possibilità, se ritrova identità e originalità. di Francesco Bonini

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