Da 40 anni studia il telo che avvolse Gesù nel sepolcro. «Guardare la Sindone è come leggere il “quinto Vangelo”. Si ha la sensazione di affacciarsi sulla soglia del mistero della Risurrezione di Cristo»
Oggi arriva alle sue conferenze con passo deciso e spesso porta con sé un proiettore, le diapositive e anche quella valigetta con dentro una copia del sacro telo a dimensione naturale, che poi fa aprire a qualcuno del pubblico presente. Ma tutto è cominciato quasi per caso, oltre quarant’anni fa. «La prima volta che ho visto l’immagine del volto di Cristo come è impresso sulla Sindone era il 1975 ed ero in via della Conciliazione a Roma. Ero affacciata alla vetrina di un negozietto di souvenir e vedendo questo volto rimasi colpita. Lo riconobbi, certo, ma non sapevo chi fosse l’autore, pensavo fosse una litografia o qualche tecnica particolare. Così entrai e chiesi alla suora che era lì. Mi disse che era la Sindone e mi spiegò cosa fosse. Uscii scettica, pensando che, se la fede si riduceva a questo, era ben poca cosa. A quel tempo avevo 25 anni e non stavo certo a pensare a queste reliquie».
È questo il primo incontro di Emanuela Marinelli, oggi celebre sindonologa, con il sacro telo che, secondo la tradizione, avvolse il corpo di Cristo e che riporta a noi la sua immagine come un negativo fotografico
, scritta e impressa sul tessuto con il dolore della croce.Dopo due anni invece tutto cambia. Nel 1977 infatti scoppia “l’amore”. È l’anno in cui il direttore scientifico della polizia di Zurigo, Max Frei, un botanico protestante, annuncia di aver trovato sulla Sindone tracce di 58 pollini di piante diverse, di cui 38 non europee, alcune delle quali vengono proprio da Gerusalemme. Il mondo della scienza si interroga, è un big bang della sindonologia e quel fatto si rivolge pure a lei, proprio con un linguaggio scientifico, quello che capisce e parla Emanuela, laureata in Scienze naturali e geologiche. Così, toccata intimamente, decide di approfondire. Si iscrive a un corso in Vicariato per diventare dopo 4 anni catechista della Passione, specializzata in sindonologia, e comincia a raccogliere articoli scientifici, libri, testimonianze. Poi l’amore si trasforma in opere, come sempre accade, e la professoressa di scienze, nonostante i suoi 36 anni di insegnamento nelle scuole superiori, diventa apostola della Sindone.
Oggi, a quarant’anni di distanza dal primo incontro, ha letto e raccolto 900 libri sul tema, 300 articoli scientifici e fatto circa 3.000 conferenze in tutto il mondo, dal Brasile al Kazakistan, dalla Russia al Burkina Faso, per raccontare ai quattro angoli del mondo l’evoluzione delle prove scientifiche e la storia di quel lenzuolo. Ha scritto anche 18 libri con professori di varie discipline, tra cui l’ultimo uscito un mese fa dal titolo La Sindone: storia e misteri (edizioni Odoya) con Livio Zerbini, docente di Storia romana all’università di Ferrara, in cui si parla anche di fonti islamiche che citano il sacro telo. «La mia vita con la Sindone è così, quasi casuale ma per nulla tale. Nasco in una famiglia cattolica e praticante, con mio padre e i miei cinque fratelli recitavamo il rosario in latino; mio zio è prete, la mia fede è già salda, ma il sacro telo parla alla mia intelligenza e alla mia ragione, oltre che al mio cuore».
Nel 1988, dopo i test effettuati sul carbonio 14 in un frammento di telo, la scienza dichiara che la Sindone è medievale. Qui inizia la vera “controffensiva”. Le rilevazioni sono inesatte secondo la professoressa: «L’angolo del telo sottoposto all’analisi risultò essere stato manipolato, rammendato, inquinato da funghi e batteri. Se il campione era inquinato, la datazione poteva riferirsi alle tracce lasciate da polveri e manipolazioni». Il giornalista Vittorio Messori, incuriosito dai suoi studi, la invita a scrivere il primo libro e da allora è un susseguirsi di approfondimenti. «Io non ho fatto nulla per favorire tutto questo», dice lei, «ho solo seguito i segnali stradali di Dio. Mai avrei pensato che i miei studi scientifici potessero servire a portare testimonianza o che il mio linguaggio da professoressa e la mia palestra con i ragazzi a scuola mi sarebbe poi stata utile nelle centinaia di conferenze che ho tenuto. Il Signore è sorprendente e, come diceva mio padre, non sai mai come Dio userà quello che sei. Come pure non sono io a cercare le case editrici che mi hanno pubblicato», continua, «me le propongono spesso i coautori, e sono tutte laiche».
Incontri, conferenze, una medaglia d’oro per la diffusione della cultura cattolica ricevuta nel 2015, ma anche tanti ostacoli da superare, come i dubbi delle persone più inaspettate. «Ho avuto avversari anche dentro la Chiesa: mi ricordo che nel 2000 dovevo organizzare un convegno internazionale sulla sindone al Divino Amore, era già quasi tutto fatto ma poi è stato bloccato e lo abbiamo spostato a Orvieto». Tra i frutti della sua missione, molti episodi che da negativi si trasformano in positivi. «Mi ricordo», racconta ancora la professoressa, «quando un parroco che insegnava religione era molto contrario alla mia conferenza a scuola. Mi confessò che aveva perso la fede e restava prete solo perché non sapeva cos’altro fare e come vivere, e non voleva scandalizzare. Alla fine mi permise di fare l’incontro e lo seguì tutto. Lo vidi con la testa fra le mani e pensai che mi avrebbe attaccato. Ma si avvicinò con gli occhi lucidi e mi disse che durante la conferenza aveva ricevuto una grande umiliazione e una grande grazia. Si era sentito umiliato perché quello che aveva ascoltato sul sacro telo lo aveva colpito e quel bene era venuto da una donna. Per lui, che si definì molto maschilista, quello ebbe un peso». Un’altra volta, durante un incontro, il moderatore si dichiara subito agnostico e le dice: «Le darò filo da torcere». Alla fine propone alla professoressa di stampare un testo a proprie spese e inizia un cammino di fede.
«Guardare la Sindone è come leggere il “quinto Vangelo”», continua la Marinelli. «Si ha la sensazione di affacciarsi sulla soglia del mistero della Risurrezione di Cristo. La Sindone è l’icona della misericordia di Dio, che dona suo Figlio, l’Agnello, per la salvezza dell’umanità. Quel corpo martoriato è la fotografia dell’amore donato, del peccato espiato, della salvezza compiuta. Quel volto tumefatto ma sereno dopo la barbara flagellazione e la crocifissione garantisce la dolcezza del perdono ed esprime profonda e divina maestà».
Dopo essere stati al cospetto di quel volto, dopo quel dialogo silenzioso, a volte, la fede non è più la stessa.
Foto di Stefano Dal Pozzolo / Contrasto
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