A tre anni dall’inizio della guerra siriana cade Yabroud, località sconosciuta ai più ma che rappresentava l’ultima roccaforte delle milizie anti-Assad al confine del Libano. Con questa operazione militare le forze di Damasco sigillano i confini con il Paese dei cedri, creando difficoltà notevoli ai loro avversari che usavano dello Stato vicino come spazio di manovra e rifornimento. Dall’inizio del conflitto, il Libano è stato un retroterra importante per rifornire di uomini e armi l’inferno siriano. Già, perché tanti osservatori internazionali da tempo stendono resoconti allarmati e scandalizzati sull’intervento delle milizie di Hezbollah in territorio siriano, tralasciando il particolare che dal Libano sono entrati anche migliaia di valorosi guerrieri della libertà che hanno insanguinato in questi anni il Paese vicino, grazie all’appoggio dei sunniti libanesi – o almeno parte di questi – legati all’Arabia Saudita. Hezbollah, appunto: nella caduta di Yabroud ancora una volta è stato decisivo l’intervento del partito di Dio a fianco dell’esercito siriano. Era già accaduto a Qusayr, dove si è consumata un’altra battaglia nevralgica sul confine libanese, e ora lo schema si è ripetuto. La sconfitta dei cosiddetti ribelli a Yabroud ha anche una valenza simbolica, dal momento che è avvenuta nel terzo anniversario dall’inizio della guerra e indica che sul piano militare Damasco ha rovesciato le sorti del conflitto, mettendo i suoi avversari sulla difensiva.
L’intervento di Hezbollah è stato decisivo, si è detto, in particolare perché si tratta di milizie ben addestrate e use alle armi, come è stato evidente al tempo della guerra israelo-libanese nel 2006. E hanno dimostrato capacità di resistenza notevoli, nonostante siano stati fatti segno di diversi attentati terroristici compiuti nel Paese dei cedri proprio nelle zone sotto il loro controllo – cosa che aveva fatto ipotizzare a diversi osservatori internazionali una nuova debolezza del loro apparato. Ma non è stato solo l’intervento di Hezbollah a cambiare le sorti della guerra. Tanti altri i motivi. Tra questi la lotta fratricida tra il Qatar e il resto dei Paesi arabi, impegnati in un conflitto diplomatico che ha provocato tensioni all’interno dei Paesi del Golfo, munifici sostenitori delle milizie di Al Qaeda che imperversano in Siria. E un certo alleggerimento della pressione statunitense ed europea: se prima certi ambiti neocon, e loro alleati, avevano visto nella guerra siriana anche un modo per creare difficoltà all’orso russo, alleato irriducibile di Damasco, ora la guerra a Putin ha traslocato in Ucraina, confronto che che assorbe risorse economiche e di intelligence.Da questo punto di vista, la “perdita” della Crimea per i neocon è stato un colpo durissimo: nell’ambito del rivolgimento ucraino, questi avevano sperato di smantellare la base navale russa di Sebastopoli, così da creare difficoltà notevoli ai collegamenti mediterranei della Russia. In questo modo Putin sarebbe stato costretto, se non ad abbandonare Assad al suo destino, certo a trovare vie di sostegno più complesse, se non impossibili, per il proprio alleato. Non è andata così, come si è visto, con disdoro degli strateghi neocon.
Ma un fattore non certo secondario del cambiamento di scenario siriano è stata la ritrovata stabilità del Libano. Durante la guerra siriana, e in contemporanea con questa, il Paese confinante è stato teatro di diversi attentati che hanno acuito le tensioni tra le diverse anime che lo popolano, in particolare tra sunniti e sciiti. Più volte bombe e assassini hanno rischiato di precipitare il Paese dei cedri nel baratro di una guerra civile; più volte è stato graziato. A complicare le cose una crisi politica infinita, come spesso capita in Libano, dove il puzzle etnico e religioso compone un mosaico che spesso spinte cattive tentano di mandare per aria. Del ritrovato accordo di unità nazionale ne abbiamo scritto su Spiragli, non ci ritorniamo, se non per evidenziare come tale unità sembra aver indebolito le cosche locali che alimentano Al Qaeda in Siria. Anche perché tutti in Libano concordano nel temere che la guerra tracimi e investa nella sua tragica follia il loro Paese (d’altronde anche gli israeliani temono uno Stato di Al Qaeda ai propri confini). Soprattutto cristiani e sciiti, che vedono con orrore come i loro correligionari sono trattati nel tormentato Paese vicino dai “liberatori” venuti dall’estero.
Insomma, Yabroud è caduta, segno che chi ha scatenato questa guerra sicuro di rovesciare Assad in pochi mesi – era già accaduto in Egitto, Tunisia e Libia – ha sbagliato di molto i suoi calcoli. Sono gli stessi che finora hanno rifiutato ogni ipotesi di trattativa di pace per chiudere la guerra siriana facendo fallire Ginevra 1 e 2, ponendo come pre-condizione dei negoziati la fine del regime di Assad, richiesta che equivarrebbe per gli interlocutori a una resa senza condizioni e per questo rifiutata – altro sarebbe accettare un negoziato tra nemici che comporti, alla fine del processo di riconciliazione, riforme e libere elezioni: d’altronde la retorica bellicista occidentale si basa sull’esportazione della democrazia, della quale i processi elettivi sono elemento fondante… I neocon, e loro alleati, sono riusciti a vincere sul piano diplomatico, mandando in fumo possibili soluzioni negoziate, ma rischiano di perdere sul piano militare. Strana eterogenesi dei fini per ambiti che finora hanno abusato delle vie militari irridendo le vie diplomatiche. Lo scenario è cambiato, e a Washington come a Bruxelles ne prenderanno atto prima o poi. Può comportare un rilancio del negoziato, oppure, è lo scenario più inquietante, un rinnovato impegno bellico da parte dell’Occidente – ci sono oscuri segnali in tal senso. Ma può anche continuare ancora a lungo così, in un lento trascinarsi della situazione, che lascia alle armi la parola finale su questa tragedia. Chiudiamo così il nostro povero scritto, senza una conclusione adeguata. Come senza fine appare il mattatoio siriano. a cura di Francis Marrash*
* La fonte del’articolo è tratta da: piccole note, cenni di informazione online
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