Una luce sul conflitto siriano e sul pensiero di padre Dall’Oglio, il gesuita sequestrato quasi due anni fa in Siria. E’ stato l’obiettivo dell’incontro dal titolo: “La Siria di padre Paolo e oltre”, tenutosi ieri pomeriggio a Roma presso la sede della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e promosso dall’Associazione Articolo 21. Il servizio di Benedetta Capelli:
“Non c’è giustizia ed equità senza tolleranza e perdono”. Sono le toccanti parole dei famigliari di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito in Siria il 29 luglio del 2013, dopo aver fondato la comunità monastica cattolico-siriaca Deir Mar Musa a nord di Damasco. Una vicenda che presenta ancora molti punti oscuri, ma che è stata lo spunto per riflettere sulla complessa situazione siriana a quattro anni dall’inizio del conflitto. Presso la sede della Federazione nazionale della stampa italiana, si è discusso della necessità di ascoltare il grido della popolazione provata da tanta sofferenza. La sorella di padre Paolo, Francesca Dall’Oglio:
R. – Per noi questa iniziativa, che ha messo in atto la Federazione nazionale della stampa italiana, è di consolazione e nello stesso tempo siamo contenti che si parli del messaggio di Paolo in una situazione veramente terribile. Gli interventi che si sono succeduti li abbiamo sentiti di grande spessore, tutti profondamente vicini al pensiero di Paolo nella sua attualità. Questa è una cosa per noi veramente di grande consolazione e penso anche di Paolo, che in modo misterioso – perché così sono le vie del Signore – è vicino a noi.
D. – Oggi, a distanza di due anni, quando lei pensa a suo fratello qual è il pensiero più ricorrente e soprattutto cosa spera nel futuro?
R. – E’ difficile, perché da un lato c’è un’emozione e una sofferenza che ci appartiene da quel giorno che Paolo è stato rapito – è una ferita grande che ci portiamo dietro – ma nello stesso tempo è anche un’occasione – per noi: famiglia, fratelli – per entrare di più dentro il pensiero di Paolo e anche compartecipare, compatire, soffrire insieme a questo popolo siriano.
D. – E’ stato detto che padre Paolo è un uomo di Dio, che è un messaggero di pace, un rappresentante del popolo siriano. Di tutte queste definizioni, qual è quella che sente più sua?
R. – Mi verrebbe da dire: un fratello più piccolo di me, che sta testimoniando una sua strada, che lo porta a essere vicino a persone che soffrono, ma anche con un grande spessore che è l’impostazione del suo spirito di dialogo verso questi fratelli musulmani, tutti figli di Abramo, come è stato detto oggi (ieri – ndr) e sottolineato.
D. – Papa Francesco lo ha ricordato tempo fa in una sua omelia. Che cosa ha rappresentato per voi quel pensiero, quella carezza del Papa?
R. – Non ci sono parole, perché questa vicinanza di Papa Francesco è importante.
“Chi fa male a padre Paolo, fa male al popolo siriano”: così l’imam di Trieste Nader Akkad, intervenuto nel dibattito insieme ad Antonie Courban, docente della Saint Joseph University di Beirut, che ha raccontato l’impegno del Libano nell’accoglienza dei profughi siriani, oltre un milione e mezzo di persone. Il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha ricordato la figura di Dall’Oglio che è voluto tornare in Siria dopo l’espulsione, per essere accanto al suo popolo:
R. – Paolo Dall’Oglio per me è un compagno di strada nel dialogo tra le religioni, nel desiderio di creare ponti tra il mondo cristiano e il mondo musulmano, soprattutto in Medio Oriente. Con padre Paolo ho vissuto esperienze molto importanti e interessanti a questo livello, soprattutto in Siria e in Egitto, e credo che oggi il suo ricordo vivo che noi abbiamo, perché speriamo in un suo ritorno tra di noi, è quello di costruire sempre, al di là delle avversità, dei legami, di costruire vie di incontro perché sono le uniche che ci possono salvare dalla guerra e dallo scontro.
D. – Nel suo intervento, lei ha parlato del tema dei sequestrati. Oltre a padre Paolo ci sono anche tanti uomini di fede – vescovi, sacerdoti – l’ultimo è padre Mourad. Che cosa significa rapire un uomo di Dio in un contesto così difficile come quello siriano?
R. – Significa certamente bestemmiare il nome di Dio, che non vuole la morte di nessuno né che nessuno sia maltrattato. Oggi queste persone, che sono nelle mani di rapitori a noi sconosciuti, potrebbero essere persone invece molto valide sul terreno, per aprire vie di pace, di dialogo e di incontro in Siria. La nostra speranza quindi, e soprattutto la nostra preghiera – come si fa ogni sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere per loro – è che la loro salvezza porti una nuova speranza alla Siria.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana