«Papa Francesco ha compiuto un gesto colossale». Beatrice Fazi legge le parole del Papa e si commuove. Quando a vent’anni fu lei ad abortire nel confessionale non c’era un sacerdote che potesse assolverla. «E’ stato eliminato un passaggio burocratico che creava sofferenza», commenta.
«Mi ritrovai incinta e senza orientamenti, l’uomo da cui aspettavo un figlio mi abbandonò: non voleva assumersi la responsabilità di crescere un bambino – racconta -. Ero da poco arrivata a Roma dal sud dove è difficile confessare ai propri genitori una cosa simile, in un contesto nel quale partorire prima del matrimonio equivale a infamia ed esclusione sociale». A raccontare questa storia e realzizare questa intervista è il vaticanista Giacomo Galeazzi su Vatican Insider
Che significa non ricevere l’assoluzione dal prete a cui si confessa l’aborto?
«Un dolore profondo, un rallentamento nel processo interiore più delicato. Domenica ho assistito alla chiusura della Porta Santa. Durante il Giubileo della misericordia, i sacerdoti potevano assolverle. Mi sono chiesta: “E ora che è terminato l’Anno Santo?”. La decisione di Francesco è la risposta».
Perché era un problema doversi rivolgere al vescovo?
«Una donna ferita riesce con sofferenza a confessare l’aborto. Fino ad oggi le leggi canoniche impedivano al sacerdote di assolverla ed era come trovare una porta chiusa. Si veniva rinviate dal sacerdote al vescovo. E in un momento di fragilità ciò ha fatto ricadere tante donne nella disperazione».
Cosa cambia per una donna?
«Al pentimento finora si rispondeva con una procedura: la richiesta al vescovo. Ed era come frenare il soffio dello spirito. Essere costrette a fermarsi nel proprio percorso, dover chiedere appuntamento ad un vescovo accentuava la condizione di debolezza. Molte si sono perse in questo passaggio, si sono sentite imperdonabili finendo per ripiegarsi su se stesse. E’ molto più facile incontrare un prete che un vescovo».
Lei non fu assolta?
«Ero sola, provavo vergogna e non avevo nessuno che mi indicasse una alternativa all’interruzione di gravidanza. Da allora la scelta di abortire è rimasta una ferita impossibile da rimarginare. Anni dopo decisi di andare a confessarmi per superstizione e paura che un Dio vendicatore e giudice mi punisse o pretendesse qualcosa. Il sacerdote non mi diede l’assoluzione, però mi disse che pur scomunicata ero chiamata alla santità. Un macigno. L’aborto come segreto tenuto nel cassetto perché non riuscivo a parlarne. L’angoscia di non sentirmi perdonata per il bambino al quale ho impedito di venire al mondo e che non ha potuto difendersi».
Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione di ieri del quotidiano La Stampa
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