In autobus con il missionario salesiano che tutte le mattine raccoglie i bambini senza nome dalle strade di Addis Abeba e offre loro un’altra vita. Ecco la storia dei “Bosco Children”
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Se in Africa sappiamo che ogni mattina all’alba bisogna correre per sopravvivere, ad Addis Abeba alle prime luci del giorno un autobus lascia il grande compound del Bosco children e si mette a cercare i bambini di strada cui i salesiani hanno dato appuntamento la sera prima. Per offrire loro una alternativa per vivere. Lo guida Don Angelo Regazzo, classe 1943, salesiano di trincea, che conosce a memoria i posti di raccolta in una metropoli dove le strade non hanno nome. L’appuntamento con don Regazzo è davanti al vecchio bus.
Arrivano da tutta Etiopia, hanno dai 10 ai 16 anni e dormono nei tombini, sotto i ponti e sui marciapiedi della capitale. Alcuni sono sieropositivi, la sopravvivenza in strada costringe a prostituirsi anche se non si hanno 12 anni, dipende dalla fame. Tutti sniffano colla. Sono gli scarti del ‘nuovo fiore’, Addis Abeba. I ragazzi dormono sotto le pensiline dei bus a piccoli gruppi di 5 o 6. Quando arriva il pullman e don Angelo suona il clacson, loro saltano fuori dalle coperte che gettano via e salgono accolti da due operatori.
«Ad Addis Abeba ci saranno 60mila ragazzi di strada – spiega don Angelo avviando il vecchio pullmino – ma si dice siano molti di più. Vivono in gruppetti e si difendono dalla polizia, che li arresta e li mette in riformatorio per ripulire le strade. Quando scelgono di cambiare vita non vogliono più essere chiamati ragazzi di strada.
Tutti sognano la capitale, un miraggio per i 30 milioni di etiopi sotto la soglia di povertà. «Lasciano casa e famiglia dove non sono necessariamente oppressi o maltrattati, ma vivono in condizioni di miseria e non hanno figure di riferimento importanti. Ad Addis Abeba rubano o scippano per mangiare. Le famiglie li cercano anche, ma nessuno può aiutarle. I reati di microcriminalità sono in aumento nella capitale. Spesso vengono avvicinati dalla malavita per diventare manovalanza nello spaccio o nella prostituzione ».
Le gang odiano il lavoro di don Angelo e dei salesiani e spesso li prendono di mira. Ma don Regazzo non si spaventa facilmente. Entrato in seminario dai salesiani a 8 anni e mezzo, a 17 ha fatto un corso di sopravvivenza di parecchi mesi nella giungla thailandese. Negli anni ’90 ha visto la morte in faccia in Eritrea, quando i banditi gli hanno sparato per rapinarlo e si è salvato solo grazie all’intervento della Provvidenza che ha messo sulla traiettoria dei proiettili un paraurti. Nel 2007, dopo aver creato il centro salesiano di Dekamerè, è stato espulso con altri 21 missionari ‘scomodi’ dal regime di Isayas Afewerki.
Arrivato ad Addis,si legge su Avvenire, si è dedicato al progetto Bosco Children potenziandolo. Come si arriva ai ragazzi perduti di Addis? «I confratelli etiopi escono tre volte alla settimana per cercarli e proporre loro un’altra vita. Quando li incontrano, la regola è non dare loro niente, altrimenti la strada diventa un mezzo per avere cose senza sforzo».
Il titolo del centro ricorda la risposta di Filippo a chi non credeva che avessero incontrato Gesù, ‘Vieni e vedi’. Qui i minori, che hanno dai 14 ai 17 anni, possono lavarsi, lavare i vestiti e mangiare. Viene dato anche un abito da lavoro che la sera devono restituire, poi sono riaccompagnati in strada per due mesi. «Ai ragazzi serve tempo per decidere se cambiare vita – puntualizza don Angelo –. Quando sono pronti, di solito hanno smesso di sniffare la colla e può iniziare l’internato presso il nostro centro». I salesiani collaborano anche con il ministero della Giustizia, in modo che i ragazzi in carcere possano scontare, presso Bosco Children, parte della pena. Le carte vincenti sono la formazione e il lavoro. Si comincia con corsi di alfabetizzazione perché quasi tutti sono analfabeti, poi c’è un’aula per i rudimenti di informatica e laboratori per lavori di artigianato che li aiutano a cambiare mentalità.
Di Paolo Lambruschi per Avvenire.it
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