“Chiedo che mi sia concesso di servire gli indiani poveri vivendo come loro…voglio fare la volontà di Dio a ogni costo e raccogliere intorno a me anime disposte a cercare i più poveri fra i poveri”. Da questo foglietto, datato 7 febbraio 1948, scritto a mano e indirizzato al cardinale prefetto della congregazione dei religiosi da una giovane suora albanese che viveva in India nasceranno le Missionarie della Carità, note come “suore di Madre Teresa”.
Il loro impegno, il loro bisogno urgente a favore dei “più poveri fra i poveri”, dei malati, degli emarginati, contagiò presto tutti con la testimonianza di una fede senza precedenti nella storia moderna della Chiesa, ispirata da una “matita di Dio”.
Le missionarie della Carità sono un piccolo esercito di quasi 5.300 suore, che gestiscono 752 case i tutto il mondo. A cui vanno aggiunti i Fratelli, istituiti il 25 marzo 1963, i Padri, nati il 31 ottobre 1984 e i diocesani, per i quali venne fondato il Movimento Corpus Christi il 26 giugno 1981. L’unica eccezione nella presenza delle Missionarie nel mondo è rappresentata dalla Cina: il governo aveva concesso due volte il permesso di aprire una casa sul proprio territorio, ma l’ha in entrambi i casi ritirato all’ultimo momento.
Il loro carisma è simile a quello francescano: le suore non hanno proprietà private se non i due sari di “ordinanza” bianchi e azzurri, un libro di preghiere, un rosario e un maglione a seconda delle stagioni. Oltre ai tre voti comuni a tutti i religiosi (povertà, obbedienza e castità), le Missionarie della Carità emettono un quarto voto: offrire se stesse per il servizio dei più poveri fra i poveri. Nella Congregazione esiste anche un ramo contemplativo che, a parte due ore al giorno, destinate al servizio, sostiene con la preghiera le consorelle.
La scelta dell’India come “culla” dell’impegno delle religiose di Madre Teresa non è casuale. Il Paese ha un tasso di povertà altissimo e inoltre il sistema chiuso delle caste limita in maniera enorme l’intervento dello Stato e dei privati per coloro che non hanno nulla. Oggi, secondo stime dell’Onu, sono circa 100 milioni gli indiani che vivono in assoluta povertà.
L’Orfanotrofio Shishu Bhavan (ovvero “Casa dei bambini”) è una delle prime strutture aperte da Madre Teresa a Calcutta nel 1953. Il suo primo ospite è stato un bambino lasciato sulla soglia della casa avvolto in un foglio di giornale. La struttura oggi ospita orfani, bimbi malnutriti, ragazze madre e piccoli disabili.
Accanto a Shishu Bhavan sorge la Nirmal Hriday, forse la casa che simboleggia meglio l’attività delle Missionarie della Carità. Ricavata da un pezzo del tempio di Kalì, è divenuto presto noto fra la popolazione locale come “tempio della carità”. Attualmente la Casa ospita 110 moribondi, affetti da diverse malattie terminali come Aids, cancro, tubercolosi. Qui trovano rifugio anche molti malati abbandonati per le strade. Le suore li accolgono, cucinano per loro, lavano i loro vestiti e i loro corpi. L’impegno con i moribondi è una costante delle Missionarie, che in ogni Paese in cui operano cercano di aprire almeno un centro per la cura dei malati all’ultimo stadio.
Come ha spiegato una volta suor Glenda, la superiora della Casa Nirmal Hriday, l’atmosfera tuttavia non è lugubre: “Li prepariamo a ritornare a Dio con la gioia nel cuore e il sorriso sulle labbra. Questo lavoro ci porta la benedizione della gioia”.
Di Mirko Testa per Aleteia
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