Una storia da leggere fino in fondo per riflettere…
Riportiamo una bellissima intervista, pubblicata su famigliacristiana.it, a Franz Sarno, paziente guarito dal Coronavirus. Intervista di Antonio Sanfrancesco.
La storia Franz Sarno, 71 anni, avvocato penalista e volontario del Sovrano Militare Ordine di Malta, in quarantena all’Hotel Cavalieri di piazza Missori a Milano dove è arrivato il 17 aprile dopo quasi un mese in ospedale a causa del Covid-19.
L’INTERVISTA
«Sono stato tra la vita e la morte. Mi hanno salvato i medici e gli infermieri del reparto d’emergenza Covid dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano, dove sono stato ricoverato quasi un mese. Mi hanno riportato al mondo donandomi tutto e io, d’ora in poi, ho il dovere morale di ridargli qualcosa indietro».
Che sensazione prova adesso?
«Quella di avere avuto in regalo una seconda vita grazie agli angeli che mi hanno assistito. Paradossalmente devo ringraziare Dio per questa esperienza che mi ha permesso di rivalutare tutto di me e della mia esistenza».
Come ha contratto il virus?
«Facendo volontariato all’ospedale militare di Baggio dove mi ero offerto come infermiere e mi occupavo della formazione del personale per la protezione NBCR (Nucleare, Batteriologica, chimica e radiologica, ndr). In sostanza, facevo corsi di formazione su come indossare le tute protettive all’interno degli ospedali, quali procedure seguire per evitare il contagio, quali disinfettanti usare. Alla fine il virus l’ho beccato io, a causa di una persona che forse non sapeva di essere contagiata e con la quale sono entrato in contatto».
Che ricordo ha della corsa in ospedale?
«Era di notte. Sono arrivato al Pronto Soccorso con la saturazione dell’ossigenazione del sangue a 84. Sotto il 92 è gravissimo. Avevo un fortissimo dolore alla schiena perché facevo fatica a respirare ma ero lucido. Mi hanno subito attaccato all’ossigeno».
Si è ripreso rapidamente?
«No, dopo alcuni giorni mi hanno trasferito nel reparto Covid creato ad hoc. Qui mi hanno messo un casco dolorosissimo e insopportabile, quasi un cappio che pompava quindici litri di ossigeno al secondo con un rumore assordante e un freddo tremendo. Non potevo muovermi perché avevo la flebo. Ti senti bruciare gli occhi per la congiuntivite ma non puoi toccarti, sei immobile».
Quanto tempo è rimasto così?
«Undici giorni, 24 ore su 24. Al quarto giorno sentivo di non farcela più, ho chiesto al medico di togliermi il casco e lasciarmi morire. Poi mi sono vergognato di quella richiesta perché ho pensato a persone come Primo Levi che hanno resistito e sono sopravvissute ai campi di concentramento nazisti».
Qual è stato il momento più duro?
«La notte perché non passava mai. I giorni sono tutti uguali, perdi la percezione del tempo. La malattia mette a nudo tutte le nostre fragilità».
Chi le dava la forza?
«La preghiera e, può sembrare paradossale, l’esperienza stessa della malattia che t’inducono a lottare e sopportare il dolore. Ho ricevuto una grande lezione».
Quale?
«Io sono un avvocato, ho scritto tanti libri, ho una vita agiata e felice. Mi sono reso conto che tutto questo non serve a niente. Prima della malattia mi sentivo qualcuno e invece in ospedale avevo il pannolone e venivano le infermiere a pulirmi. È una cosa umiliante ma benefica perché annienta l’orgoglio. La sofferenza e la paura t’inducono a fare un esame di coscienza».
Riusciva a pregare?
«Nel silenzio. Ho riflettuto tantissimo su una frase del Padre Nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. È vero. I sanitari che mi hanno assistito erano così bravi, attenti e premurosi che venivano a controllare il mio stato psicologico e come reagivo alle cure. Le infermiere venivano a scherzare, mi portavano da mangiare. Erano tutti bardati, di questi angeli ho visto solo gli occhi e non saprei riconoscere i volti. A loro sono debitore per tutta la vita».
Come si sdebiterà?
«Con il mio lavoro. Purtroppo temo che qualcuno li trascinerà in tribunale. Sono un avvocato, conosco certi meccanismi».
Perché dovrebbero essere denunciati?
«Questo virus ha sconvolto tutto. Io ero consapevole che mi somministravano un cocktail di medicine sperimentali. Anche loro brancolano nel buio e vanno avanti a tentativi, lo so. Ma non è uno scandalo e non è colpa loro, questo virus è ancora sconosciuto e quindi imprevedibile, insidioso, inafferrabile. Sono stati accanto a me sempre, anche di notte. Quando sono stato dimesso mi hanno persino organizzato una festa. Non credevo che nei nostri ospedali ci fossero persone così».
Accanto a lei com’era la situazione?
«Ho visto alcune persone morire. Avevo un compagno di stanza, un giovane brigadiere della Guardia di Finanza di 48 anni che si è preso cura di me. Quando è stato dimesso mi mandava sms tutti i giorni per sapere come stavo. È scattata una grande solidarietà».
Quando le hanno tolto il casco com’è andata?
«Mi hanno messo una maschera tipo film Silenzio degli innocenti talmente stretta che mi tagliava il viso».
Adesso come si sente?
«Tornare a respirare è una sensazione bellissima, quasi strana. Mi sento addosso una forza come se avessi vent’anni. Mi è venuta una gran voglia di lavorare e mi sono fatto portare il computer dello studio qui in hotel».
La vita in quarantena com’è?
«Di lussuosa solitudine. Quando suonano il campanello, metto guanti e mascherina, apro la porta e non c’è nessuno, solo il carrello con il pranzo da ritirare. Siamo fantasmi. Mi hanno dato un kit per disinfettare, pulire da solo la camera e cambiare le lenzuola una volta a settimana. La stanza è grande e bella, da qui vedo Milano deserta. La quarantena durerà un mese, non ho voluto tornare a casa per non rischiare di contagiare mia figlia che ha tre anni».
Come vede il futuro in generale?
«Buio. L’economia italiana è devastata. Molte attività che hanno chiuso non riapriranno più. Bisognerà cambiare modo e stile di vivere, sia a livello personale che sociale. Tutto è stato stravolto, abbiamo combattuto una guerra senza nemmeno saperlo».
Fonte famigliacristiana.it