Io, per sette anni, sono stata curata senza alcun buon risultato all’ospedale di Mirandola, prima, poi al sanatorio di Gaiato, all’ospedale di Sondrio, di Modena, e infine, poiché la mia malattia era giudicata inguaribile e anche per le mie possibilità finanziarie, mi hanno portata al ricovero sempre di Modena, dove sono stata circa un anno, cioè fino a quando è avvenuta la mia completa guarigione. I professori mi hanno curato per tutto questo periodo con pazienza, applicandomi tutte le cure moderne; ma io non miglioravo mai, anzi peggioravo. La mia malattia era questa: “diabete insipido di natura diencefalica, resistente a ogni terapia”.
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Soffrivo forti mal di testa e ciò che preoccupava maggiormente era la mia insaziabile sete; infatti negli ultimi giorni ero arrivata a bere centosettanta litri di acqua in ventiquattr’ore. Se non bevevo, buttavo fuori sangue per bocca e la mia lingua si gonfiava in tal modo che non restava neanche più in bocca. Ogni quindici giorni circa nel corso della mia malattia mi venivano delle crisi. Bevevo continuamente, tanto che le infermiere mi avevano messo di fianco un grosso bidone pieno di acqua in mezzo al quale c’era un gommino che terminava con un succhiotto che io tenevo sempre in bocca anche quando dormivo. Le crisi, di cui ho parlato sopra, consistevano in fortissimi dolori alla testa, alle volte accompagnati da febbre, in modo che io non sapevo più di esistere e la mia mente delirava. I professori credevano proprio che in una di queste crisi io morissi
; i miei genitori erano già stati avvisati, tanto che, prima del miracolo erano venuti a prendermi affinché morissi a casa mia e nel mio letto. Tutti erano ormai d’accordo sulla mia inguaribilità. Anzi, avevano stabilito di mandarmi al Cottolengo a Torino per essere meglio assistita e curata.Io nutrivo una grande devozione verso Padre Pio di cui avevo sentito parlare all’ospedale. Prima mai. Spesso lo pregavo, ma non ho mai chiesto la grazia della guarigione: gli chiedevo soltanto che mi desse la rassegnazione della mia malattia, oppure mi liberasse con la morte. Era il giorno del Corpus Domini del 1952. Al mattino venne la suora a fare il giro e a essa io ho manifestato il desiderio di assistere alla Santa Messa. Mi hanno accontentata, ma dopo essermi confessata, non reggendomi più in piedi, mi hanno portata a letto con una delle mie solite crisi. Questa durò tutto il mattino fino alle due del pomeriggio, quando mi sono addormentata. Bevevo sempre di più. Naturalmente, come bevevo, urinavo anche, sporcando tutto il letto, in modo che mi dovevano cambiare parecchie volte al giorno. Mentre stavo proprio male mi hanno riferito che dicevo: «Padre Pio, non ne posso più, vieni a prendermi», e anche l’infermiera, vedendo quanto io soffrivo, pregava il Signore che mi liberasse da quello stato pietoso.
Nel corso di quella crisi, verso le dieci, vidi un frate che mi guardava con occhi fissi e scuri, quasi mi volesse rimproverare, ma non mi disse nulla. Verso le due del pomeriggio, proprio al culmine della crisi, quando ormai le infermiere che mi assistevano pensavano che fossi alla fine, anche perché ero diventata tutta fredda, mi addormentai. Poco prima però avevo sentito attorno a me un fragrante profumo di viole e avevo chiesto da dove venisse quel profumo, che gli altri però non sentivano. Rimasi addormentata circa un’ora e mezza. Le infermiere e la suora che mi ha sempre assistita mi schiaffeggiavano, perché mi svegliassi per bere ed evitare che si avviasse un’emorragia. Perché è da notare che altre volte, anche quando dormivo, succhiavo l’acqua, ma, quella volta, i denti mi si erano chiusi.
A un tratto, sempre mentre dormivo, sentii queste parole: «Alzati, Lucia, che sei guarita. Stasera o domani vieni qua da me a San Giovanni Rotondo». Subito mi svegliai, mi alzai sul letto dicendo che ero guarita. Mi giudicarono pazza, ma dopo aver raccontato ciò che avevo udito, mi dissero di andare in chiesa a ringraziare il Signore. Infatti mi ci recai da sola, scendendo le scale disinvolta e sicura. Assistetti anche alla processione. Mi sentivo benissimo e non sembrava neanche che avessi sofferto per sette anni. I professori sono subito venuti, credendo anch’essi in un intervento divino. Mi rimaneva soltanto di recarmi a Foggia, come mi aveva detto Padre Pio. Io volevo andarci al mattino, subito, ma i professori, credendomi incapace di sostenere il viaggio, hanno rimandato a tre giorni dopo.
Sono stata contentissima di poter vedere e parlare con Padre Pio, che ho infinitamente ringraziato. Lui mi ha detto che dovevo essere riconoscente verso il Signore. Dopo quattro o cinque giorni, sono ritornata a Modena. I professori mi hanno fatto tante analisi in clinica, trovandomi sempre sanissima. Da allora non mi sono sentita più niente e ora vivo a casa con i miei genitori lavorando sempre nei campi.
di Renzo Allegri, “Padre Pio. Il santo dei miracoli”, pp. 396-399, Mondadori, 2002.
(fonte: settimanaleppio.it)
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