Mauro Leonardi

La storia di Marinella, dispersa a Nizza, quando un anello al dito vale più del dna

Sono stati ammazzati giovedì sera ma l’ultimo italiano “disperso” durante la strage di Nizza è stato riconosciuto solo la mattinata di martedì: cinque giorni, un’eternità, nonostante la quantità di parenti e di foto che avrebbero potuto aiutare. Il motivo è che le autorità francesi confermano le identità solo dopo aver effettuato il test del Dna.

Capisco tutto, però capisco soprattutto il sindaco di Piasco, arrivato a Nizza per cercare Carla Gaveglio, che non sente ragioni: “È un fatto gravissimo che non ci sia un’autorità, un ministro, che si prenda la responsabilità di dire ‘identifichiamo vittime e feriti in poche ore’ con tante fotografie in giro e tanti parenti arrivati in città”.

Forse la nostra proverbiale mancanza di ferrea disciplina, di rigorosa scientificità, italiani eterni arruffoni, questa volta non è un difetto ma una virtù. Credo si chiami umanità. Termine non ferreo, non scientifico, vago, italico insomma, ma molto efficace per indicare quel senso umano che è più della vista. Lo sguardo che è più dell’efficienza, l’atteggiamento che è un battersi a piedi tutti gli ospedali, seguire tutte le liste ufficiali ma anche quelle ufficiose e andar dietro anche solo alle voci e ricominciare dall’ospedale dove già c’eri stato: forse è l’ora di dire che questo comportamento poco scientifico e molto italico, è una gran bella virtù. Ritornare, per scoprire che avevi ragione tu. Tua madre era lì, fuori da ogni lista ufficialmente stilata, nello stesso ospedale dove è tuo padre, stesso piano.

Non m’invento nulla: è la storia di Marinella Ravotti e di sua figlia che non riusciva a trovarla. Marinella Ravotti, infermiera di 55 anni, data inizialmente per dispersa. La donna è in coma farmacologico, ma non è in pericolo di vita. A rintracciarla è stata la figlia, corsa subito a Nizza insieme al fidanzato. Aveva il volto molto tumefatto ed è stata riconosciuta grazie agli anelli che aveva al dito. “L’hanno cercata in tutti gli ospedali senza esito” ha raccontato il sindaco di San Michele Mondovì, Domenico Michelotti. “Poi sono tornati nell’ospedale Pasteur dove era ricoverato il papà e grazie a un medico italiano l’hanno trovata. Era praticamente nella camera accanto”. Niente Dna: ha funzionato l’anello al dito. Se unisci tre italiani, parenti e medico, ne vien fuori una cosa poco scientifica che per risultato dà tua madre.

Non è una partita scienza contro piezz’e core. Qui o si vince tutti o non si vince nessuno. Tutti vogliamo la certezza ma senza escludere lo sguardo a una fede nuziale, a un orologio, a un indumento, a un tatuaggio. È umano. Ed è il motivo per cui gli italiani non ascoltano i consigli delle autorità francesi di rimanere a casa ma vanno a Nizza a girare incessantemente gli ospedali. Bisogna fare della scienza un’alleata della verità, del sollievo, del sostegno umano, e non un ostacolo. Anche perché la scienza non ferma un padre, un marito, un figlio, che ha in mano un cellulare che non squilla più perché si è scaricato. “Non riusciamo più ad aspettare a casa” ha spiegato Massimiliano, il figlio più grande di Angelo D’Agostino. “Questa attesa sta diventando un’agonia”. Si chiama umanità e non è un’alternativa alla scienza. Umanità italiana, buon senso italico, darsi una mano, andare al di là e guardare i visi. Forse è il vero motivo per cui in Italia l’Isis non ha ancora colpito. Dicono di non dirlo. Dicono che il vero motivo per cui finora non abbiamo avuto attentati è che abbiamo i servizi segreti migliori del mondo. Sarà. Io ci vedo – l’ho già scritto – la maggior umanità che pervade le nostre relazioni, un essere “pasticcioni” sì, a volte. Ma anche più umani.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost


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