Quegli occhi azzurro ghiaccio. Le ragazzine del 1997, che oggi sono donne, molte di loro anche mamme, ancora se li ricordano sul palco di Sanremo sulle note di Laura non c’è. «Quel successo, all’epoca, non me lo sono goduto. Ero all’inizio, dovevo dimostrare tutto». Dopo 18 anni, Filippo Neviani, in arte Nek, è tornato sul palco dell’Ariston con gli stessi occhi azzurro ghiaccio di allora. Quelle lievi rughe che li incorniciano, mostrano i tratti di un uomo «consapevole». Fiero delle responsabilità, «di essere un padre. Ora so che il vero rock’n’roll è cambiare i pannolini alle due del mattino».
Al festival targato Conti, dove ha portato Fatti avanti amore classificandosi secondo, ha fatto venire la pelle d’oca a 10 milioni e rotti di italiani cantando Se telefonando. Il pubblico gli ha tributato un grande affetto, «per strada come sui social network, che davvero non mi aspettavo».
Oggi Nek è un uomo più completo. Merito di Patrizia, la donna con cui divide la vita dal 1996, che ha sposato 10 anni più tardi e che «è sempre stata brava a restare nell’ombra. Ha sempre detto la sua, ma non è mai stata né manager né assistente. È stata invece la mia insegnante: quando l’ho conosciuta lei aveva già una figlia, Martina, che oggi ha 19 anni e vuole diventare giornalista. Con lei ho imparato a essere padre. Poi è arrivata Beatrice, quattro anni e mezzo fa». Una donna forte, Patrizia. «Ai tempi di Laura non c’è fu bravissima a tenere a bada la gelosia. Anche se a volte qualche scenata l’ha fatta: “Sei indulgente verso le attenzioni delle fan, rischi di illuderle”. Maestra anche lì».
Con lei ha condiviso la vita. E il cammino nel riscoprire e rinvigorire la propria fede in Dio. «Tutto è nato dalla musica. Nel 2005 fui contattato da un amico, un industriale facoltoso. Mi disse che sosteneva un’associazione, Nuovi Orizzonti. Avevano l’obiettivo di costruire una cittadella che ospitasse gli emarginati, dalle prostitute ai tossicodipendenti, per aiutarli a ritrovare la propria dignità attraverso il Vangelo. Io ho fatto un concerto a Sassuolo: lì abbiamo raccolto i primi fondi per costruire un centro di accoglienza a Capljina [a pochi chilometri da Medjugorje, ndr]». Ma Nek non si è limitato a cantare. «In quell’occasione ho conosciuto gli operatori. E ho riscoperto la fede». Nel 2006, il primo viaggio a Medjugorje, «a festeggiare il mio compleanno. Ho avuto riconferme, più che rivelazioni. In tanti lì si aspettano il miracolo, ma non si può descrivere quell’atmosfera come un fenomeno da baraccone. La Madonna sa conquistare pure gli scettici come me che vivo anche di frivolezze. Perché, ben inteso, non sono mica un santone».
Innegabili, però, le esperienze che lasciano il segno. «Non ti farò la lista della spesa, non faccio proselitismo. Il “miracolo” del sole che si avvicina, però, ha colpito me e la mia famiglia. È successo mentre eravamo in raccoglimento al centro. Vi ha assistito anche mia figlia Beatrice, lei è rimasta impressionata. Ricordo che ha pianto. Ma l’abbiamo rassicurata: “Vedi amore, è una cosa bella”».
Al di là dei segni, la fede per Nek ha avuto un forte impatto sui dolori personali. «Me ne sono accorto quando è morto mio padre, ad esempio. Ho affrontato il dolore con una nuova consapevolezza. La parte più umana di me era arrabbiatissima: vedere che perdeva anche la dignità fisica è stato terribile. Poi però l’altra parte si è abbandonata al grande mistero della vita».
La capacità di affrontare il dolore, in qualunque situazione. È il messaggio di un brano contenuto nel nuovo album di Nek, Prima di parlare, che esce il 3 marzo. La canzone si chiama Credere, amare, resistere. E racconta la storia di Sofia, la bimba malata di atrofia muscolare spinale, morta quasi due anni fa e finita su tutti i giornali: i suoi genitori intrapresero una battaglia per farla curare con il discusso metodo Stamina. «Io e mia moglie ci siamo avvicinati con discrezione all’associazione Voa Voa, fondata dai genitori di Sofia. La canzone l’ho scritta e musicata in un’ora e mezzo nel viaggio di ritorno da Firenze dopo che li avevo incontrati. Da padre mi sono sentito chiamato in causa, ho voluto dare il mio supporto a tutte quelle famiglie orfane di cura. Perché se hai un figlio malato le provi tutte per alleviare la sua sofferenza».
Ma il cammino verso la riscoperta della fede non è soltanto un confronto con le difficoltà. «Una grande gioia? Incontrare Papa Francesco. Stringergli la mano, vederlo scattare selfie con la semplicità di un uomo qualunque. Ecco, questo è il volto della religione che preferisco: quello della semplicità».
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