UN PONTIFICATO ‘PRESENTE’ – Firmata il 29 giugno 2009, l’enciclica Caritas in Veritate è anch’essa ispirata a una frase di San Paolo: “Agire secondo la verità nella carità” (cfr Ef 4,15). La genesi di questo documento fu piuttosto lunga e travagliata: destinata ad uscire nel 2008, per iniziativa del Santo Padre se ne ritardò la pubblicazione per poter spiegare in modo più ponderato i cambiamenti in atto con la grande crisi economica mondiale scoppiata a cavallo di quegli anni. Per stesura dell’enciclica, in particolare per la sezione riguardante la crisi economica, il papa si è avvalso della collaborazione non solo del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace guidato dal cardinale Renato Raffaele Martino o di vescovi come monsignor Reinhard Marx, esperto di dottrina sociale, ma anche di economisti ed esperti di etica e finanza, come Stefano Zamagni ed Ettore Gotti Tedeschi. La carità, spiega Benedetto XVI nell’introduzione, “è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa” e, dato “il rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico”, va coniugata con la verità. Ricordando il messaggio sempre attuale della Populorum progressio (1967) di Paolo VI, papa Ratzinger si sofferma sul concetto di “bene comune”, un principio sempre più calpestato da fenomeni degenerativi come, ad esempio, la finanza speculativa, la cattiva gestione dei flussi migratori, lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra, i tagli indiscriminati alle spese sociali. Per superare la crisi economica globale e le disuguaglianze sociali sempre più evidenti, è necessario tornare a valorizzare il capitale più importante: quello umano. Il primato dell’uomo si sostanzia innanzitutto nel rispetto della vita umana dal concepimento alla morte naturale: oltre a ribadire un netto ‘no’ all’aborto e all’eutanasia, Benedetto XVI condanna anche le politiche antinataliste.
La stessa economia di mercato, se vuole umanizzarsi, deve smettere di “contare solo su se stessa” e di essere un “luogo della sopraffazione del forte sul debole”, riscoprendo, invece, la logica del dono. In questo contesto la carità va intesa non come filantropia bensì come fraterna condivisione, coinvolgimento totale e appassionato di gioie e sofferenze. La Caritas in veritate è anche l’enciclica che, più di ogni altra, ha approfondito l’etica ambientale. Essendo la natura un dono di Dio da usare in modo responsabile, il Papa suggerisce soluzioni di ‘ecologia umana’ che si rifanno ai principi non negoziabili come fondamento di ogni civiltà. Altri principi cardine dell’enciclica sono il principio di sussidiarietà, che, “attraverso l’autonomia dei corpi intermedi”, diventa “l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista”, e lo sviluppo che, per essere tale, “deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale”. Il testo dell’enciclica, come confermato dalle prime righe del capitolo, radica il pensiero cattolico nell’enciclica Populorum Progressio e nella tradizione della fede apostolica, che implica, come specificato dallo stesso Benedetto XVI in occasione del viaggio in Sud America nel maggio 2007, la rinuncia all’interesse personale e nella ricerca di una posizione condivisa, pur nella mantenuta laicità del soggetto politico rispetto alla Chiesa. A tal proposito, papa Benedetto XVI invita la popolazione battezzata alla coerenza con i principi professati in modo inedito. Invero, secondo le parole di Paolo VI e della sua Populorum Progressio, «tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo» e tale “autentico sviluppo dell’uomo», quando avvenga con le modalità su dichiarate, «riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione”. La motivazione di tale comportamento non può che ritrovarsi nella prospettiva della vita eterna: il papa ricorda in tal senso che l’istituzione in sé non è garanzia di sviluppo, benessere e rispetto dell’uomo; solo questo sentimento consente di abbandonare la prospettiva che ci fa “vedere nell’altro sempre soltanto l’altro”.
Del resto la Chiesa ha, in un modo o nell’altro, sempre fornito un unico insegnamento in tal senso: in questo campo, il merito di Paolo VI sarebbe, secondo il papa, quello di aver intravisto la globalità di tale sviluppo e di aver reinvestito la responsabilità umana di un ruolo che le era stato sottratto dallo sviluppo tecnico o dall’utopia del ritorno allo stato di natura. Secondo il pontefice deve poi ristabilirsi il legame esistente fra vita etica e vita sociale, che non sarebbe corretto tenere separate; ciò è tanto più vero quando si pensi alla drammatizzazione delle vicende umane e dello scempio della vita nei contesti più degradati e deboli. Riprendendo poi il discorso della ricollezione e studio delle fonti della dottrina sociale della Chiesa, papa Benedetto si sofferma sul significato autentico del progresso come vocazione umana, un appello trascendente cui l’uomo non può e non sa rinunciare: in tal senso nascerebbe l’esigenza di coniugare la tecnica al suo significato. Lo sviluppo umano, che pertanto “suppone la libertà responsabile”, viene invece individuato come “illusorio messianismo carico di promesse” lo sviluppo privo del proprio significato trascendente. Lo sviluppo umano integrale come vocazione esige anche che se ne rispetti la verità. La vocazione al progresso spinge gli uomini a «fare, conoscere e avere di più, per essere di più»; e, in tal senso, la dottrina cristiana ha il pregio di essere il viatico per questa affermazione integrale dello sviluppo umano. Il Vangelo cioè sarebbe elemento fondamentale dello sviluppo, perché in esso Cristo, “rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo”. Infatti, “quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire”. a cura di Ornella Felici
Video presentazione dell’Enciclica: Caritas in Veritate
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