La Trasfigurazione nella Quaresima. Riflessione per i Papaboys di Don Mauro Leonardi

La seconda domenica di quaresima si legge il Vangelo della Trasfigurazione, solennità che è celebrata il 6 agosto. L’evento miracoloso avvenuto sul Monte Tabor, pertanto, va letto non in sé stesso ma in prospettiva pasquale. Dice Marco che quando Pietro, Giacomo e Giovanni scendevano dal Tabor si interrogavano su cosa volesse dire “risorgere dai morti” (Mc 9,10). Infatti, mentre per noi cristiani la parola resurrezione significa innanzitutto la Resurrezione di Cristo – cioè la Pasqua – per gli ebrei non era così.

Per loro “risorgere dai morti” significava alludere in qualche modo alla fine dei tempi, quindi a qualcosa di lontano, non chiaro, non facilmente riferibile alla vita quotidiana. Per questo, quando Gesù dà l’annuncio della sua Passione e Resurrezione – accade tre volte in Marco: Mc 8,31-33; 9,30-32; 10, 32-34 – la loro attenzione è catalizzata dall’elenco particolareggiato delle torture che dovà subire il Figlio dell’Uomo, e per nulla è attirata dal fatto che quel racconto termini sempre con la parola Resurrezione. Accadeva a loro un po’ come a noi, che, a sera, potremmo fare un lungo elenco minuzioso di ciò che non è andato nella giornata, e invece trascurare quasi del tutto le cose belle, positive, “le resurrezioni”, che sono avvenute.

Gli ebrei sapevano bene cosa fosse una crocefissione. Flavio Giuseppe descrive una crocefissione di massa davanti alle porte di Gerusalemme durante l’assedio della città da parte di Tito: “Pieni di rabbia e di odio, i soldati sfogavano il loro disprezzo dei prigionieri inchiodando ciascuno alla croce in una posizione diversa e ben presto mancò spazio per le croci e le croci per le vittime… alcuni erano appesi a testa in giù, altri impalati, altri con le braccia distese sulla croce” (Gnilka, Gesù di Nazaret, p. 397). Pietro, Giacomo e Giovanni saranno i tre apostoli che dovranno presenziare all’agonia di Gesù nell’Orto degli Ulivi (Lc 22, 39-46), quella che San Giovanni Paolo II chiamerà significativamente “la trasfigurazione di sangue”. Il senso della Trasfigurazione in chiave pasquale, infatti, è proprio questo: la bontà di Dio che sta vicino ai discepoli e dà loro conforto prima ancora della prova mostrando in qualche modo come sarebbe stato il Maestro dopo la Resurrezione. Lo stesso avviene con ciascuno di noi, cerchiamo di tenerlo presente: Gesù ci riempie di beni e di benedizioni prima ancora che le prove avvengano. Dovremmo provare ad imparare a registrare le cose belle della nostra giornata, le tante piccole “trasfigurazioni” con cui Cristo ci viene incontro. Apprendere a rilevarle, a ricordarle, è il modo per poi servircene nel momento della Croce. Senza scoraggiarci se poi, come accadde agli apostoli, anche a noi avverrà di fallire e di non essere all’altezza del momento. Il Signore, con sua Madre Maria, ci verrà incontro nonostante tutto.

Di Don Mauro Leonardi

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