Ci vogliono quattro siringhe accuratamente numerate. La prima contiene una semplice soluzione salina per pulire la cannula inserita in vena, la seconda un leggero anestetico per preparare le vene, la terza un potente anestetico per addormentare la mente in dieci secondi e la quarta 150 milligrammi di Rocuronium, che rilassa i muscoli fino a paralizzarli. Così il sistema respiratorio si blocca e non si sente più niente. Ai tempi della dignità, la morte, quella «buona», funziona così. Ed è così che martedì, alle due del pomeriggio, è morta in Olanda Annie Bus.
CONTRO LA LEGGE. La donna di 75 anni ha potuto richiedere l’eutanasia grazie alla legge approvata nel 2002 e la dottoressa Constance de Vries l’ha uccisa anche se Annie non aveva i requisiti previsti dalla legge. A de Vries questo non importa, ci ha fatto il callo ormai e sa che i paletti fissati dalla legge sono solo una scusa, un paraocchi per chi ha lo stomaco debole e vuole fingere di non capire che cos’è l’eutanasia: diritto di essere uccisi come e quando si vuole per illudersi di comandare, oltre che alla vita, anche alla morte.
«NON SEI TERMINALE». Non tutti i dottori in Olanda violano la legge apertamente e spudoratamente. Il medico di base di Annie Bus, infatti, si è rifiutato di ucciderla: «Non sei una malata terminale», quindi non si può fare, si è giustificato. Ma quando certi dettagli prevalgono sulla volontà e l’autonomia dell’individuo, in Olanda si può ricorrere alla Levendseindekliniek, alla “clinica di fine vita” fondata dalla potente associazione Nvve (“Diritto di morire”).
13 MORTI AL GIORNO. La dottoressa de Vries fa parte di una delle 37 unità mobili della clinica, che nel 2014 ha ucciso oltre 200 pazienti. Per le irregolarità compiute, e di cui tutti sono a conoscenza, la clinica ha avuto appena tre richiami ufficiali. Ma tutto è continuato come prima. De Vries uccide tra i sette e i dieci pazienti all’anno, mai più di uno al giorno, «anche se una volta ho fatto un’eccezione». «Io uccido le persone – racconta all’inviata del Der Spiegel – e la prima volta tremavo».
Ora se la cava con molto meno. Resta sempre un po’ nervosa, soffre ancora ma si è abituata. In fondo, il suo lavoro è poca cosa rispetto alle almeno 4.829 persone (ufficialmente) morte per eutanasia in Olanda nel 2013. Tredici al giorno. Se gli studi di Lancet sono veri, dovrebbero invece essere morte circa 5.794 persone, 16 al giorno. Sta di fatto che l’eutanasia causa il tre per cento di tutte le morti nel Paese.
«PUÒ VIVERE FINO A 100 ANNI». Un’embolia ha paralizzato Annie dalla vita in giù 23 anni fa. L’osteoporosi la faceva soffrire. Molto. Con femore e vertebre ormai inservibili, le costole di sinistra le premevano sugli organi. Il dolore era «insopportabile» per Annie anche se il marito dopo 52 anni di matrimonio sapeva ancora farla ridere. Fosse stato per lui, lei non si sarebbe mai uccisa. Anzi. «Posso farla vivere fino a 100 anni», diceva. E lui faceva di tutto per raggiungere questo obiettivo, sollevandola dal letto e adagiandola sulla sedia a rotelle, lavandola, cucinando, preparando le medicine e svegliandosi anche sei volte ogni notte per farla stare meglio possibile.
ACCETTARE IL DESTINO. Neanche le tre figlie volevano che si uccidesse e ancora fanno fatica a capire la scelta della madre, che si sentiva «un peso» per gli altri, anche se i familiari l’accudivano volentieri. Inutile chiedersi se non ci fosse una cura palliativa che potesse aiutarla, perché per la dottoressa de Vries, che ha incontrato la prima volta Annie ad agosto, «non è una questione di cure ma di libertà». Essere costretti a soffrire su una sedia a rotelle non è libertà, morire sì. Perché, come spiega una delle figlie, «nostra madre non ha mai accettato il suo destino».
LA POSSIBILE SVOLTA. Per avere almeno qualche carta in regola, un secondo dottore ha registrato la volontà di morire di Annie e uno psichiatra, sempre dell’associazione “Diritto di morire”, ha accertato la sua lucidità mentale. A novembre però tutto sarebbe potuto cambiare. Dopo aver visitato per un ultimo saluto la sorella che vive ad Aruba, isola del Mar dei Caraibi, Annie è tornata cambiata. «Trovo tutto così bello. Io voglio vivere». De Vries le ha risposto che se aveva «dubbi», come se non fosse già evidente da quelle parole, «allora non facciamo niente». Annie ci ha pensato su, e poi: «Se non ci fosse il dolore, vorrei vivere». Chissà perché in quelle parole la dottoressa non ha colto un grido di aiuto ma una conferma di morte. E la procedura ha fatto il suo corso.
NON IN CAMERA DA LETTO. Martedì, subito dopo mezzogiorno, de Vries è arrivata a casa di Annie ed è andata in cucina a preparare le quattro siringhe. In sala, perché il marito ha chiesto che non la uccidessero in camera da letto. Un prete in pensione ha dato l’estrema unzione alla donna cattolica, dopo che due sacerdoti della sua parrocchia le hanno detto che erano dispiaciuti ma non potevano proprio farlo. Attorno ad Annie, sulla sedia a rotelle, c’erano una ventina di persone. Giusto il tempo degli ultimi saluti, delle ultime parole, delle ultime lacrime e poi le quattro siringhe. Una dietro l’altra. Tutto è finito alle due del pomeriggio, sotto lo sguardo di un Cristo crocifisso appeso alla parete.
di Leone Grotti
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