Ci sono ferite e sofferenze difficili da rimarginare. Papa Francesco esordisce così nel suo discorso ai vescovi del Rwanda, a pochi giorni dal 20.mo del genocidio che scosse il Paese africano nel 1994. Il Papa si associa al dolore dei rwandesi e assicura la sua preghiera per quanti soffrono ancora, per tutto il popolo del Rwanda, “senza distinzione di religione, di etnia o di scelta politica”. Vent’anni dopo quei tragici eventi, prosegue il Papa, “la riconciliazione e la cura delle ferite restano sicuramente la priorità della Chiesa del Rwanda”. E Francesco incoraggia i vescovi proprio a “perseverare in questo impegno” come già fatto con numerose iniziative. “Il perdono delle offese e la riconciliazione autentica – afferma – che potrebbero sembrare impossibili in un’ottica umana sono invece un dono che è possibile ricevere da Cristo, attraverso la vita di fede e la preghiera”. E questo anche se “il cammino è lungo e richiede pazienza, rispetto reciproco e dialogo”.
La Chiesa, rassicura, è impegnata “nella ricostruzione di una società rwandese riconciliata”. Di qui l’esortazione ai vescovi ad andare “risolutamente avanti” nel testimoniare la verità evangelica con il dinamismo della fede e la speranza cristiana. Solo stando uniti nell’amore, è stata la sua esortazione, “possiamo fare in modo che il Vangelo tocchi e converta i cuori in profondità”. E’ allora importante, ribadisce il Papa, che, “superando i pregiudizi e le divisioni etniche, la Chiesa parli ad una sola voce, manifesti la sua unità e riaffermi la comunione con la Chiesa universale e con il Successore di Pietro”. In questa prospettiva di “riconciliazione nazionale”, esorta, “è anche necessario di rinforzare le relazioni di fiducia tra la Chiesa e lo Stato”. E rammenta l’importante occasione del 50.mo delle relazioni tra Rwanda e Santa Sede, che ricorrono il 6 giugno prossimo. Un dialogo costruttivo e autentico con le autorità, afferma il Papa, “non potrà che favorire l’opera comune di riconciliazione e ricostruzione della società sui valori della dignità umana, della giustizia e della pace”. Siate, esorta, “una Chiesa in uscita” che “prende l’iniziativa”.
Nel suo discorso il Papa mette quindi l’accento sull’importanza dell’educazione dei giovani, del ruolo dei laici per la sfida dell’evangelizzazione e della formazione dei sacerdoti. Dal Pontefice un incoraggiamento a coloro che negli Istituti religiosi si dedicano a quanti sono stati feriti dalla guerra, nell’anima come nel corpo. Un pensiero particolare è andato agli orfani, ai malati e agli anziani. “L’educazione della giovinezza – evidenzia il Papa – è la chiave dell’avvenire in un Paese dove la popolazione si rinnova rapidamente”. Sui laici, osserva che sono fortemente coinvolti nella vita della “Comunità ecclesiale di base”, nei movimenti, nelle opere caritative e mette l’accento sulla loro formazione spirituale, umana e intellettuale.
Una vigilanza tutta particolare, soggiunge, va assegnata alle famiglie del Rwanda nel momento in cui si trovano minacciate dal processo di secolarizzazione. Quindi, la gratitudine del Papa è andata ai sacerdoti rwandesi, esortando i presuli ad essere loro vicini. Il Papa conclude il suo discorso rinnovando la vicinanza al popolo rwandese, affidandolo in particolare alla protezione della Vergine di Kibeho.
Il servizio è di Alessandro Gisotti per la Radio Vaticana (disponibile anche in file audio):
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IL VIDEO DELL’INCONTRO A CURA DEL CENTRO TELEVISIVO VATICANO
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