Non è la prima volta che Andrea Bocelli parla della sua devozione. Il celebre tenore italiano, apprezzato in tutto il mondo (80 milioni di album venduti), si è confidato, in profondità, con don Davide Banzato, all’interno del programma “A Sua Immagine. Le ragioni della speranza”, andato in onda ieri, sabato 23 febbraio 2019.
Ha aperto le porte di casa sua, a Forte dei Marmi (Toscana), per un breve colloquio sulla vita, sull’esistenza, sulla musica e sulla fede. «Nel mio caso non avere fede sarebbe vivere una situazione di disperazione. La vita sarebbe come una tragedia annunciata», ha spiegato il tenore, affetto da cecità a causa di un glaucoma, dall’età di 12 anni.
Tempo fa aveva raccontato la sua vita da “agnostico”, dedito al «libertinaggio come droga», come tentativo di «riempire la parte mancante di me. Ma l’inquietudine resta. Tutte le sere hai bisogno di riuscire nel tuo obiettivo. La sera che non ci riesci, stai male. Il successo rende tutto più facile. Ma alla fine ti ritrovi con un pugno di mosche. E ti senti affondare nel gorgo del vizio». Fino all’incontro con Veronica, la sua attuale moglie.
Già in quell’intervista spiegava che «una persona ragionevole non può affidare la vita al caso. Se vedo un palazzo, sono certo che qualcuno l’ha fatto. A maggior ragione, l’Universo non può essere frutto del caso».
Ieri, di fronte al bravissimo don Davide, Bocelli ha ripreso il tema: «Da ragazzo essere agnostico mi sembrava una posizione comoda da abbracciare. Dopo però si va avanti e ci si fa delle domande. Chi non si è mai interrogato sul senso della vita? Quando ti interroghi sul senso della vita ti fai delle domande, vai a cercare delle risposte e scopri tante cose. E io penso di aver scoperto che il caso non esiste: questo è stato il primo passo verso una totale riconciliazione con la fede».
Le parole di Andrea Bocelli ricordano quelle della filosofa Catherine Chalier, docente presso l’Université Paris Ouest Nanterre La Défense e, sopratutto, allieva prediletta di Emmanuel Levinas. Se il tenore italiano descrive l’agnosticismo come viziato dalla mancanza di desiderio intellettuale, la filosofa francese parla dell’ateismo come «pigrizia della ragione», perché esso «vale solo per l’immagine che si sono fatti di Dio. Spesso l’assenza sensibile di Dio è vissuta come l’inizio positivo per celebrare il proprio modo di vivere lontano da lui. Spesso si fanno un’immagine di Dio, consolatore e potente, per esempio, e quando non trovano né consolazione né potenza visibile di questo Dio nel mondo, allora si dicono atei».
Si stupisce, l’allieva di Levinas, che non vi sia «nessuna lacerazione spirituale in questo ateismo», eppure «dirsi atei è un’affermazione che dovrebbe sapersi misurare con esigenze difficili». Si riferisce in particolare ad uno degli atei più famosi di Francia, il suo collega Michel Onfray, il quale però «compie un ritratto caricaturale delle teologie di cui parla, e poi per lui è facile mostrare che non vuole credere a questa caricatura! Che voglia essere ateo, perché no? Ma che faccia la caricatura della fede e pretenda di conoscere quello che non conosce, questo mi indigna».
Fonte www.uccronline.it
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