L’età non li unisce. I giovani europei sono molto diversi tra loro. I contesti nazionali e sociali in cui vivono, dall’estremo Nord del Continente al Mediterraneo, segnano le loro scelte e le loro identità molto più profondamente di quanto non faccia l’appartenenza a una stessa stagione della vita. Si presenta così un quadro complesso che sfugge a una semplice descrizione o a una fredda statistica. È un quadro fatto di molti colori, e composto da tutti i volti e le storie personali dei giovani che abitano in Europa. A loro il Consiglio delle Conferenze episcopali europee e il Pontificio Consiglio per i laici hanno dedicato un convegno, promosso insieme, per avviare la preparazione delle Chiese alla Giornata mondiale della gioventù che si terrà nel 2016 a Cracovia, in Polonia.
“Una Chiesa giovane, testimone della gioia del Vangelo” è il titolo del convegno al quale stanno partecipando (fino al 13 dicembre) delegati di 32 Paesi europei e rappresentanti di una ventina di movimenti e associazioni per un totale di circa 130 partecipanti. A delineare il quadro della gioventù europea è stata la sociologa francese Valerie Becquet, dell’Università de Clergy-Pontoise. Il primo tratto preso in esame dalla studiosa è l’età nella quale i giovani in Europa escono di casa. “L’entrata nella vita adulta – dice Becquet – si allunga oggi sempre di più e diventa sempre più difficile definire i confini tra le età e stabilire soglie”. Ciononostante, l’allungamento del periodo giovanile non è vissuto nello stesso modo nei diversi Paesi perché dipende dall’azione dello Stato, dai sistemi educativi, dalle culture familiari. E se in Danimarca, Regno Unito e Francia, l’età media di partenza dei giovani dal nucleo familiare si attesta per tutti e tre i Paesi attorno ai 21/23 anni, l’approccio è molto diverso: in Danimarca si privilegia lo sviluppo personale del ragazzo mentre nel Regno Unito si è piuttosto orientati a favorire il più rapidamente possibile l’entrata nel mondo adulto; in Francia regna una filosofia di “semi-indipendenza” e semi-autonomia finanziaria con forme di coabitazione che vedono talvolta i genitori sostenere il costo degli affitti. Molto più difficile è la vita dei giovani europei della fascia meridionale come Spagna e Italia dove l’età media di uscita dalla casa paterna si aggira attorno ai 27/30 anni. Sicuramente – ha detto la sociologa francese – i giovani sono quelli che risentono della crisi economica e occupazionale. “Le traiettorie della vita sono raramente lineari. I giovani sono costretti a percorsi che iniziano e poi s’interrompono. E questo continuo ricalibrare la propria vita, mette fortemente a disagio, sicuramente è per tanti fonte di frustrazione e di dolore”.
A questi giovani, le Chiese europee guardano con interesse, non per indicare una strada ma per condividerla insieme. Papa Francesco in un messaggio ai partecipanti al convegno, ha detto proprio questo: “Voi che lavorate nel campo della pastorale giovanile, fate un lavoro prezioso per la Chiesa. I giovani hanno bisogno di questo servizio: di adulti e coetanei maturi nella fede che li accompagnino nel loro cammino, aiutandoli a trovare la strada che conduce a Cristo. Ben più che nella promozione di una serie di attività per i giovani, questa pastorale consiste nel camminare con loro, accompagnandoli personalmente nei contesti complessi e a volte difficili in cui sono immersi”. Quello europeo non è un contesto culturale facile in cui vivere. Prendendo la parola, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e vice-presidente del Ccee, ha parlato delle sfide del relativismo e della secolarizzazione che conducono l’uomo ad “agire come se Dio non esistesse, decidere come se i poveri non esistessero, sognare come se gli altri non esistessero”. “Di fronte allo smarrimento soprattutto nel nostro continente – ha quindi aggiunto -, c’è un grande bisogno e forse un desiderio più o meno consapevole di un messaggio gioioso, di speranza e di fiducia”. Da qui l’auspicio formulato dal cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici: “Per le strade dell’Europa, i giovani non si sentano mai soli, ma abbiano sicuri punti di riferimento e speranza per il futuro”. “I nostri giovani – ha proseguito – fanno parte di un’umanità ferita, dove tutte le agenzie educative, specialmente la più importante, la famiglia, hanno gravi difficoltà. Essi vivono seri problemi d’identità e stentano a fare le loro scelte. Hanno bisogno, dunque, di essere accompagnati con rispetto, dedizione e pazienza nelle difficili strade che percorrono nel nostro tempo”. I giovani sono la strada dell’Europa. Ha quindi ragione il cardinale a dire: “Come ridare speranza al futuro dell’Europa, se non a partire dalle giovani generazioni?”. di Maria Chiara Biagioni per Agensir
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