Per questo, vorrei tornare proprio all’importanza delle parole. Non a quelle che allora furono dette o non dette dal Papa, ma proprio alla parola, alla potenza della parola. Perché noi dimentichiamo che le parole sono potenti. Sono potenti perché sono come i fiori. Come i fiori, le parole vivono se rimangono attaccate alle radici, se sono inserite in un terreno, protette dalle piante intorno e custodite da un’eventuale ambiente ostile. Le parole sono potenti perché sono come i fiori. Può essere che qualcuno sorrida a queste mie parole. Ma se lo fa, sbaglia. Se è un potente e sorride a queste mie parole, non ha capito qualcosa d’importante e tra un po’ la sua potenza sarà finita.
I fiori, in un prato, tra i colori degli altri fiori, sono belli e importanti ma lo sono perché sono collegati al prato. Se ci facciamo prendere dalla tentazione di toglierli dal loro contesto, li strappiamo e li portiamo a casa, otterremo solo di vederli morire velocemente.
I fiori fuori contesto vitale, senza radici e senza terreno, appassiscono sempre. Appena tolti dal prato pare non cambi nulla, sembra che rimangano molto belli ma dopo poco quella bellezza varia, cambia, muore. Così con le parole. Le togliamo dal contesto e pare dicano lo stesso, ma poi cambiano. A volte ci tornano ripetute – esattamente ripetute – da altri, e le troviamo cambiate. Ci viene da dire che non avevamo detto così anche se in realtà le parole erano quelle.
Le parole sono come fiori: come dobbiamo stare attenti con i fiori così con le parole. Il contesto in cui sono dette non è un accessorio, è la loro radice, il loro terreno. Le parole di Papa Benedetto XVI a Ratisbona tolte dal contesto, non solo sono morte ma sono diventate velenose. Erano nate come ponte ma qualcuno le aveva trasformate in un muro. Erano nate come parole che dovevano essere finestre che aprono sguardi, ma qualcuno le aveva trasformate in parole “muro”. Le parole intorno, i gesti intorno, non sono un di più ma spesso sono l’essenziale. “Ti sta bene” detto da un ragazzo che loda la ragazza per il vestito nuovo non è lo stesso del “ti sta bene” detto dalla mamma al figlio che, non avendo studiato, ha preso un brutto voto a scuola. Sono le stesse parole ma le prime sono di lode, le seconde di rimprovero.
Le parole senza il loro contesto sono parole senza radici che fanno appassire velocemente i rapporti. Fanno puzzare di marcio le relazioni. Un rapporto si rompe a causa di alcune parole e noi diciamo a noi stessi facendo spallucce: io non c’entro, gli ho solo detto la verità. Ma quella verità aveva radici, aveva contesto?
Se invece le parole sono lasciate nel loro campo tra gli altri fiori, tra gli altri pensieri, tra quei pensieri che le contornano, saranno parole che costruiscono ponti. Che rimangono aperti al polline, ai passi, alla vita.
Io non so cosa sia cambiato ma un fatto è certo: con Papa Francesco sembra che le parole rimangano sempre nel loro contesto, che tengano le loro radici. Basta guardare i titoli dei giornali di oggi: tutti i titoli che parlano di questo incontro, parlano di strappi e di ricuciture, come quella pezza di stoffa del Vangelo su cui non si potevano ricucire pezze per il pericolo che si strappasse tutto, vecchio e nuovo. Siano gli esperti a distribuire colpe e meriti: io constato che con Papa Francesco, quella capacità di incontro e di dialogo che è propria della sua persona si rivela per quello che è: stoffa nuova. Come quella del vangelo: stoffa nuova per veste nuova.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlFarodiRoma
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