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L’acqua di Fatima che dissetava i pellegrini

Quando appare, la Madonna non di rado lascia dietro di sé una fonte miracolosa. La più celebre è quella di Lourdes, naturalmente, ma ce ne sono di più antiche, come quella di Caravaggio, e di più moderne, come quella di Montichiari. Persino san Giuseppe, apparendo a Cotignac nel XVII secolo, lasciò in ricordo una sorgente.

Ora, l’apparizione più famosa del Novecento è quella di Fatima, che però ebbe valenza apocalittica e non taumaturgica. Ebbene, scopro, grazie a un articolo di João Alves sul numero di giugno del mensile della Tfp, che anche Fatima ebbe la sua acqua «curativa». L’articolista mette subito le mani avanti col dire che a Fatima la Vergine non lasciò dietro di sé alcuna sorgente. Epperò l’acqua ci fu, anche se venne dopo. Ma andiamo con ordine. La zona di Fatima era arida, terreno calcareo, poroso, inadatto a trattenere l’umidità. La penuria d’acqua era cronica, tanto che gli abitanti del piccolo borgo dovevano fare i salti mortali per raccogliere e immagazzinare quella piovana.

Alla Cova da Iria, poi, l’arsura era ancora più drammatica e il problema si evidenziò in tutta la sua flagranza quando cominciarono ad arrivare frotte di pellegrini, il cui numero aumentava esponenzialmente ogni giorno. Per costruire una cappella commemorativa i lavoranti avevano dovuto fare i numeri per portarsi dietro, da lontano, l’acqua necessaria (alla calce, ma anche per dissetarsi). Il 13 novembre 1921, a pochi anni dalle apparizioni, il vescovo di Leiria, nella cui diocesi insisteva la località, celebrò la prima messa nella cappella anzidetta.

Conoscendo il problema dell’acqua, lo stesso giorno stabilì che si cominciasse a scavare un pozzo alla ricerca di acqua. Forse fu divinamente ispirato, perché solo per rispetto gli abitanti del posto non gli risero dietro. Acqua alla Cova da Iria? Fatica sprecata. Ma quello, cocciuto, insisté e fece scavare proprio ai piedi del leccio su cui era apparsa la prima volta la Madonna. Miracolo. L’acqua c’era. Una piccola fonte, insufficiente, ma era acqua. Sì, acqua dal terreno “impossibile” della Cova da Iria, nessuno ci avrebbe scommesso e in tanti cominciarono a guardare il vescovo come se fosse stato lui l’artefice del prodigio.

Il bello è che il vescovo, a quel punto, di prodigi ne fece due, anzi tre, perché fece scavare altri due pozzi a breve distanza dal primo. E in ambedue i casi fu premiato dalla fortuna (se così la si vuol chiamare). Adesso c’era a disposizione tanta di quell’acqua che si poteva far fronte al ristoro dei pellegrini, e pure di cominciare a pensare a ulteriori costruzioni. Tanta, che quelli di Fatima non dovevano più fare la danza della pioggia, ma potevano venire ad attingerla, fresca, tutti i giorni alla Cova.






Col tempo l’acqua venne raccolta in una grande cisterna alla base del monumento al Sacro Cuore, che oggi sta nella spianata davanti alla basilica. L’acqua usciva da quindici rubinetti, tanti quanti i Misteri del Rosario. Gruppi di volontari ne distribuivano ai pellegrini, mentre alcuni cartelli avvisavano che nessun offerta si doveva per quell’acqua. L’uso di quell’acqua si rivelò miracoloso in diversi casi, soprattutto di guarigione.

Si pensò, allora, di costruire delle piscine, a imitazione di quelle di Lourdes, perché i malati potessero immergervisi. Ma poi il progetto venne abbandonato. Ondate di successivi lavori, di ampliamento e di nuovi edifici, hanno finito per far dimenticare l’acqua di Fatima, tanto che, ormai, se ne trova traccia solo in vecchie foto. Chissà perché. Forse le guarigioni non erano sufficientemente numerose perché si istituzionalizzasse quell’acqua? O forse intervennero altre ragioni che non conosciamo? Ormai rimane solo qualche vecchio rubinetto ai piedi del Sacro Cuore, a ricordare quel che qui abbiamo narrato.




Fonte www.lanuovabq.it/Rino Cammilleri

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