Sancta Sedes

Lampedusa, 3 anni fa la visita di Papa Francesco

Ieri il presidente del Senato, Pietro Grasso, insieme al sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, al prefetto Nicola Diomede e alle autorità civili, militari e religiose, hanno deposto una corona in ricordo dei migranti scomparsi in mare. Oggi, 8 luglio, ricorre il terzo anniversario della visita di Papa Francesco a Lampedusa, che fu meta del suo primo viaggio apostolico.

Il Pontefice lanciò in mare una corona di fiori e incontrò alcuni migranti sul Molo a Punta Favarolo, celebrando la Messa nel campo sportivo di Lampedusa. A tre anni dal viaggio del Papa sull’isola che nel Mediterraneo rappresenta la Porta d’Europa, Elvira Ragosta ha intervistato il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini:

R. – Come sindaco ricordo una giornata che ha segnato la storia della mia isola e che ha segnato anche la politica del Mediterraneo. Non si sarebbe mai vista l’Europa, gli organismi europei, mettere in agenda il tema “immigrazione” se Papa Francesco non fosse arrivato a Lampedusa allora con una emozione enorme, una consapevolezza che, finalmente, le cose sarebbero cambiate. Come persona, è uno dei ricordi più belli che conservo, non solo della mia sindacatura, ma della mia vita.
D. – Cosa è cambiato a Lampedusa in questi tre anni? Il Pontefice parlò di globalizzazione dell’indifferenza, di una società che ha dimenticato l’esperienza di piangere…
R. – Io dico che le cose sono cambiate tantissimo dalla visita di Papa Francesco, anche se di fatto le politiche europee non sono cambiate, le norme non sono cambiate e il regolamento di Dublino non è stato ancora modificato. Quello che, però, ha segnato un cambiamento epocale è avere chiamato i morti, avere trasmesso l’idea che quei morti sepolti in fondo al mare sono persone e avere dato il nome a questo grande cinismo, che caratterizza non solo la politica, ma la vita del nostro tempo.


D. – Tanti i salvataggi anche in questi giorni nel Mediterraneo, ma a Lampedusa com’è la situazione nell’hotspot adesso?
R. – In questo momento noi abbiamo 300 persone qui e direi che Lampedusa ha chiuso la pagina emergenziale che caratterizzava la gestione dell’accoglienza sino a tutto il 2013. Non ci sono più grandi sovraffollamenti del centro, che erano le criticità maggiori. Quando in un centro di 400 posti ci infili mille persone, non puoi mai garantire un’accoglienza umana e dignitosa. Ovviamente un grande aiuto, sia per salvare più vite umane possibili sia per decongestionare Lampedusa, lo danno le navi della Marina, della Guardia Costiera, ma anche delle organizzazioni private. Continuiamo ad accogliere e, soprattutto, siamo il porto più vicino per le situazioni che richiedono immediato soccorso: per le donne, le donne incinte, i bambini, gli ustionati, le persone che stanno male.

D. – I lampedusani sono stati un esempio di accoglienza – lo aveva sottolineato anche Papa Francesco – e tante lezioni di coraggio e di umanità sono state scritte nella sua isola porta d’Europa. Come continua questo impegno dei lampedusani ora che la situazione di emergenza è passata?


R. – Siamo impegnati innanzitutto a far sapere che, appunto, l’emergenza si può governare, si può gestire, e si può continuare a fare turismo e a vivere una vita serena. Se questa esperienza di Lampedusa venisse conosciuta più profondamente da tutti, secondo me sarebbe facile trovare Comuni, sindaci disposti ad accogliere.




D. – Visti da Lampedusa, come vengono letti i cambiamenti decisi in ambito europeo in questi tre anni dalla fine di Mare Nostrum: dal piano di redistribuzione dei migranti ai muri, che si sono sollevati in alcuni Paesi europei?
R. – A volte con impotenza, a volte con rabbia, a volte con speranza. Il vero tema epocale di questo tempo è quello del Mediterraneo. Quindi che ci sia bisogno di tempo, si comprende, perché ci siano le risposte giuste, lo so, e tutti ne dobbiamo essere consapevoli. Ci sono state fasi come quella dell’approvazione del piano di ricollocamento, che facevano pensare ad un percorso di solidarietà tra gli Stati, e invece poi ci accorgiamo che il piano di ricollocamento non è ancora attuato e che ogni Stato ritiene di potersi chiudere in un’isola. Lo viviamo veramente con straniamento perché mentre Lampedusa cerca di aprirsi al mondo, perché qui abbiamo sofferto di solitudine per tanto tempo e abbiamo compreso che da quando non siamo più soli le cose per noi sono migliorate e stanno migliorando, invece gli Stati, quindi realtà molto più grandi di Lampedusa, non hanno ancora compreso questo e pensano che la soluzione sia diventare isole. Questo ci sembra molto strano e probabilmente c’è ancora bisogno di tempo per comprenderlo.
Tante le organizzazioni non governative impegante nei soccorsi nel Mediterraneo. Ascoltiamo, al microfono di Samuel Bleynie, Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save the Children:
R. – Il viaggio del Papa è stato un momento molto importante! Tre anni fa, Lampedusa era il principale punto di approdo in Europa e il messaggio del Papa ha voluto portare un messaggio contro la globalizzazione dell’indifferenza e quindi a favore della solidarietà. Diciamo che – e questo in generale e quindi non a Lampedusa – questa solidarietà si è vista poco, perché noi il Papa lo abbiamo rincontrato tre anni dopo – quest’anno nell’Isola di Lesbo – in una situazione europea in cui sono stati eretti dei muri e in cui le persone sono state allontanate e di certo non sono state aperte le porte. Tre anni fa Lampedusa era il principale punto di approdo in Europa, poi nell’ottobre dello stesso anno ci sono stati due grandissimi naufragi al largo di Lampedusa e da allora è partita l’Operazione “Mare Nostrum”, che è durata un anno, e le successive operazioni italiane ed europee. Il Centro di Lampedusa, quindi, non è stato più l’unico punto o il principale punto in cui arrivassero migranti: ora è uno dei tanti porti in cui arrivano le persone… Diciamo, anzi, che per quasi un anno è stato chiuso il Centro di Lampedusa e il principale punto di approdo è diventato soprattutto la Sicilia Orientale, i porti di Pozzallo, di Augusta, in cui arrivano le navi militari o le navi delle organizzazioni non governative o i mercantili, che portano i migranti che hanno salvato in mare. Quindi da questo punto di vista c’è stato un cambiamento forte: da luogo principale – e tra l’altro luogo simbolo di arrivo e rimane il luogo simbolo – non è più il principale porto di approdo, perché le persone che vengono salvate e soccorse in mare vengono portate nei principali porti della Sicilia, ma anche in Puglia, in Calabria e talvolta anche in Campania e in Sardegna.



Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)

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