Papa Francesco arriva da Tokyo a Nagasaki intorno alle 9.30. Presso il Memoriale della Pace, in ricordo delle vittime della bomba atomica, lo attende una piccola folla composta. Le parole del Papa sono forti nell’avvertire: la pace non si costruisce sulla paura
Adriana Masotti – Tokyo
Non si può garantire la pace e la stabilità sulla base di una sicurezza falsa perché guidata dalla sfiducia. Non si può investire nella corsa alle armi provocando danni senza fine e distogliendo risorse allo sviluppo: il messaggio di Papa Francesco è chiaro e non potrebbe certo trovare smentita qui a Nagasaki, città testimone dei disastri enormi causati dalle bombe nucleari.
All’Atomic Bomb Hypocenter, memoriale della Pace, Francesco è accolto dal governatore e dal sindaco della città. Due sopravvissuti alla bomba gli offrono una corona di fiori bianchi e il Papa la depone ai piedi del monumento dedicato alle vittime di quella tragedia nucleare rimanendo per un lungo momento in preghiera. Sotto la pioggia le persone l’hanno atteso riparate da impermeabili bianchi o gialli e poi salutato con compostezza. Papa Francesco accende una candela attingendo ad un lumino. Il clima è di commozione profonda.
Il Papa comincia poi a parlare andando subito al cuore della questione sicurezza e afferma:
La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale.
Lo sono piuttosto “a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione”.
Non sarà, dunque, mai abbastanza, prosegue, l’alzare la voce “contro la corsa agli armamenti”, che utilizza risorse togliendole allo sviluppo dei popoli e per la difesa dell’ambiente.
Nel mondo di oggi, dove milioni di bambini e famiglie vivono in condizioni disumane, i soldi spesi e le fortune guadagnate per fabbricare, ammodernare, mantenere e vendere le armi, sempre più distruttive, sono un attentato continuo che grida al cielo.
E se milioni di uomini aspirano ad un mondo senza armi nucleari, far diventare questo una realtà richiede “la partecipazione di tutti”: sono chiamati in causa singoli e comunità religiose e civili, “gli Stati che possiedono armi nucleari e quelli che non le possiedono, i settori militari e privati e le organizzazioni internazionali”. Già nel 1963, ricorda Francesco, la Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII chiedeva la proibizione delle armi atomiche e affermava “che una vera e duratura pace internazionale non può poggiare sull’equilibrio delle forze militari, ma solo sulla fiducia reciproca”.
È necessario rompere la dinamica della diffidenza che attualmente prevale e che fa correre il rischio di arrivare allo smantellamento dell’architettura internazionale di controllo degli armamenti. Stiamo assistendo a un’erosione del multilateralismo, ancora più grave di fronte allo sviluppo delle nuove tecnologie delle armi.
La Chiesa Cattolica, da parte sua, “è irrevocabilmente impegnata nella decisione di promuovere la pace tra i popoli e le nazioni: è un dovere per il quale si sente obbligata davanti a Dio e davanti a tutti gli uomini e le donne di questa terra”. Da qui, dice il Papa, il suo sostegno agli strumenti giuridici e ai trattati sul disarmo e sulla non proliferazione nucleare. E lancia un appello:
Nella convinzione che un mondo senza armi nucleari è possibile e necessario, chiedo ai leader politici di non dimenticare che queste non ci difendono dalle minacce alla sicurezza nazionale e internazionale del nostro tempo. Occorre considerare l’impatto catastrofico del loro uso dal punto di vista umanitario e ambientale, rinunciando a rafforzare un clima di paura, diffidenza e ostilità, fomentato dalle dottrine nucleari.
Il Papa torna a suggerire “una seria riflessione” su come le risorse utilizzate per le armi potrebbero servire per raggiungere l’obiettivo dello sviluppo umano integrale. Il Papa San Paolo VI nel 1964 aveva proposto di aiutare i più poveri attraverso un Fondo Mondiale alimentato proprio “con una parte delle spese militari”. Tutti sono coinvolti, insiste Francesco, nel compito di “creare strumenti che garantiscano la fiducia e lo sviluppo reciproco” ed è necessario “contare su leader che siano all’altezza delle circostanze”.
Nessuno può essere indifferente davanti al dolore di milioni di uomini e donne che ancor oggi continua a colpire le nostre coscienze; nessuno può essere sordo al grido del fratello che chiama dalla sua ferita; nessuno può essere cieco davanti alle rovine di una cultura incapace di dialogare.
Il Papa conclude il suo messaggio chiedendo a tutti, anche ai non cattolici, di unirsi ogni giorno nella preghiera “per il trionfo di una cultura della vita, della riconciliazione e della fraternità”. E’ necessario, dice, confidare in Dio. E recita la preghiera per la pace attribuita a San Francesco d’Assisi:
Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace: dov’è odio, ch’io porti l’amore; dov’è offesa, ch’io porti il perdono; dov’è dubbio, ch’io porti la fede; dov’è disperazione, ch’io porti la speranza; dove sono le tenebre, ch’io porti la luce; dov’è tristezza, ch’io porti la gioia.
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