“Non hai paura?”. La domanda mi viene rivolta più volte e da più parti. “Io? Ho paura finanche di prendere l’aereo”. Ma della paura non bisogna aver paura. È un dono di Dio, un atto di coraggio, un sentimento che ci rende più prudenti e più umani. Che ci accomuna e ci affratella. Occorre, però, anche vincerla, la paura, per non rimanerne prigionieri. Per essere liberi di pensare e di agire; per donare al mondo il meglio che si ha. Abbiamo tutti un debito colossale verso i nostri fratelli in umanità. Ci appartengono. Sono affidati a noi. Ci rendono la vita più sopportabile e interessante. Prova a immaginare un mondo dove tutto è tuo, ma tu sei terribilmente solo. Prova a immaginare una festa dove non manca niente, ma non c’è nessuno con cui puoi condividere la gioia. Siamo in troppi a essere caduti nella trappola delle apparenze. A non aver preso sempre sul serio le parole di Gesù. In quelle parole c’ è tutto. Giovanni Battista vede venire Gesù verso di lui e, indicandolo, dice a chi lo segue: “È lui che toglie il peccato del mondo”. Lui, non un altro. Lui non gli scrigni zeppi di lingotti d’oro. L’oro. Prova a immaginare. Ti trovi in un deserto con un cento cammelli carichi di gemme preziose e hai una sete da morire. Il tempo passa e tu arranchi. Per un solo bicchiere d’acqua daresti volentieri la ricchezza che possiedi. Prova a immaginare. Sei in un letto di ospedale. Il dolore ti contorce, la solitudine ti pesa. Hai bisogno di parlare, di confidare a qualcuno ciò che ti passa in cuore. Cerchi una mano, un volto, una voce, una carezza. Tenerezze che non si possono comprare. Un giorno Gesù porta con sé sul monte i suoi migliori amici. Lassù decide di dar loro un assaggio della resurrezione. Tra non molto arriverà la croce con lo scandalo assurdo che da sempre l’accompagna. La fede dei discepoli potrebbe traballare. La scena è surreale. Stupenda. Lascia estasiati i poveri mortali. Gesù si trasfigura. Le sue vesti si fanno sfolgoranti, il suo volto brilla come il sole. Appaiono Mosè ed Elia. E una voce da cielo – la voce stessa dell’Eterno Padre – che dice: “È il figlio mio, l’eletto: Ascoltatelo!” Ascoltate lui, non un altro. Anche quando la sua voce è flebile. Anche quando lo vedrete pendere dal legno. Ascoltatelo.
Sulla sua parola giocatevi tutto, ne vale la pena. Troppo preziosa e breve è la vita per rischiare di sprecarla. E quanto più ascoltate lui, vero Dio e vero uomo, tanto più gli sarete simili diventando uomini veri. Viceversa, è il peccato che ci rende meno uomini, ci allontana da Dio, da noi, stessi e dai nostri fratelli. In questi ultimi tempi mi muovo con più prudenza. Sono guardingo. Così mi accorgo che mi segue da lontano. Lo conosco. Ha avuto una vita non facile, ha sempre vissuto all’ombra della legalità. Conosce bene il carcere, i suoi ospiti, le sue leggi. La sua presenza mi preoccupa. Che cosa vuole? Perché mi cerca? Si fa avanti, chiede di parlarmi. Accetto preoccupato.“Vorrei confessarmi…”. Resto imbarazzato. Forse incredulo. Ma ho imparato a capire che Dio passa nel cuore della gente quando meno te lo aspetti. Ho imparato a farmi attento alla fantasia dello Spirito che soffia dove vuole, quando vuole e come vuole. So di dovermi svuotare di ogni pregiudizio per far spazio alla novità di Dio. So che in questo momento di mistero profondissimo tra Dio e la sua pecorella smarrita e sozza di letame io sono indispensabile e inutile. So che potrei essere addirittura un intruso se il Signore non avesse deciso diversamente. Mi rendo disponibile. Ascolto. Passeggiamo insieme come due vecchi amici. Un cuore che si apre a un altro cuore. Mistero della fede. Il sacramento della Riconciliazione mi affascina. Sempre. Quando corro a confessare le mie colpe e quando ascolto e assolvo i peccati altrui. Mi sento di affogare in un mare profondo di misericordia e di tenerezza difficile da dire. Ascolto il racconto della vita di quest’ uomo lontano da Dio e dalla società civile. Che ha fatto tantissimo male a se stesso e a chi gli voleva bene. Un uomo stanco, deluso, amareggiato. Un uomo prezioso per il quale Dio è morto. Qualche mese fa scrissi a un pentito della camorra. Lo chiamai fratello, lo benedissi. Ci incontrammo. Mi disse: “Sentirmi benedetto mi ha fatto un grande bene. Grazie…”. Lasciamo sempre aperto uno spiraglio alla Speranza che arriva quando meno te la aspetti. Rendiamoci strumenti pronti a collaborare alle sorprese di Dio che fa vedere i ciechi, parlare i muti, resuscitare i morti. Padre Maurizio PATRICIELLO