Se la Quaresima del Figlio di Dio “è stata un entrare nel deserto del creato per farlo tornare ad essere quel giardino della comunione con Dio che era prima del peccato delle origini”, i cristiani sono chiamati a “incarnare più intensamente e concretamente il mistero pasquale nella loro vita personale, familiare e sociale”, in modo speciale attraverso “il digiuno, la preghiera e l’elemosina”. Digiunare, scrive Papa Bergoglio, vuol dire rinunciare alla tentazione di “divorare” tutto per “saziare la nostra ingordigia”; pregare significa “saper rinunciare all’idolatria e all’autosufficienza del nostro io; e fare elemosina ci aiuta a “uscire dalla stoltezza di vivere e accumulare tutto per noi stessi, nell’illusione di assicurarci un futuro che non ci appartiene”. Su questi binari, è possibile “ritrovare la gioia del progetto che Dio ha messo nella creazione e nel nostro cuore”: l’amore, unica sorgente della “vera felicità”.
Il cammino verso la Pasqua, dunque, ci chiama “a restaurare il nostro volto e il nostro cuore di cristiani, tramite il pentimento, la conversione e il perdono”, una chiamata che coinvolge tutta la “creazione” a uscire “dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”.
Questa “impazienza”, questa attesa del creato troverà compimento quando si manifesteranno i figli di Dio, cioè quando i cristiani e tutti gli uomini entreranno decisamente in questo “travaglio” che è la conversione.
Nel documento, il Pontefice chiarisce che “se non siamo protesi continuamente verso la Pasqua, verso l’orizzonte della Risurrezione, è chiaro che la logica del tutto e subito, dell’avere sempre di più finisce per imporsi”. Una volta spezzata la “comunione con Dio”, si viene anche a “incrinare” il rapporto degli esseri umani con l’ambiente in cui sono chiamati a vivere, un giardino divenuto deserto.
Si tratta di quel peccato che porta l’uomo a ritenersi dio del creato, a sentirsene il padrone assoluto e a usarlo non per il fine voluto dal Creatore, ma per il proprio interesse, a scapito delle creature e degli altri.
Quando l’uomo decide di abbandonare “la legge di Dio”, “la legge dell’amore”, inevitabilmente si afferma “la legge del più forte sul più debole”.
Il peccato che abita nel cuore dell’uomo (cfr Mc 7,20-23) – e si manifesta come avidità, brama per uno smodato benessere, disinteresse per il bene degli altri e spesso anche per il proprio – porta allo sfruttamento del creato, persone e ambiente, secondo quella cupidigia insaziabile che ritiene ogni desiderio un diritto e che prima o poi finirà per distruggere anche chi ne è dominato.
Fonte www.vaticannews.va/Barbara Castelli
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