L’azzardo del Patriarca caldeo: rifondiamo la «Chiesa d’Oriente»

Louis Raphael propone di azzerare i vertici delle 3 comunità ecclesiali che discendono da quell’antica istituzione, per tornare alla comunione e affrontare insieme le urgenze.

Ha usato toni di basso profilo. Ma la proposta lanciata dal Patriarca Louis Raphael, Primate della Chiesa caldea, è comunque spiazzante e fragorosa: azzerare i tre Patriarcati che adesso si richiamano all’eredità dell’antica Chiesa d’Oriente – la prima che portò il cristianesimo in Persia, in India e fino alla lontana Cina – e ricomporre l’unità piena delle tre comunità ecclesiali sotto la guida di un unico Patriarca.

Il momento delicato vissuto dalle tre comunità ecclesiali autoctone della Mesopotamia vede la loro stessa esistenza messa a rischio nelle proprie terre d’origine. La Chiesa caldea, maggioritaria e unita alla Sede apostolica di Roma, sta vivendo dai tempi degli interventi militari occidentali a guida Usa una emorragia di fedeli dai suoi territori iracheni che rischia di provocarne l’estinzione nelle regioni del suo radicamento millenario. La Chiesa assira d’Oriente, ormai da decenni concentrata per lo più nelle fiorenti comunità in diaspora sparse in America, Europa e Oceania, è alle prese con una delicata fase di transizione: dopo la morte – lo scorso 26 marzo – del Patriarca Mar Dinkha IV, l’elezione del successore è stata rimandata a settembre, mentre è ancora in ballo il ri-trasferimento della sede patriarcale da Chicago – dove il Patriarca era emigrato «in esilio» nel 1940 – a Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno. Intanto, la minoritaria Antica Chiesa d’Oriente – nata nel 1964 da uno scisma in seno alla Chiesa assira d’oriente, e attualmente guidata dal Patriarca Mar Addai II, residente a Baghdad – è chiamata a confrontarsi con la proposta di riunificazione che le è stata presentata dai vescovi assiri.

In questo scenario in movimento, il Patriarca caldeo Louis Raphael ha pubblicato sul sito del Patriarcato alcuni «pensieri personali» in cui si delinea in via embrionale un vero e proprio progetto di rifondazione della Chiesa d’Oriente, come Chiesa patriarcale indipendente dal punto di vista giurisdizionale, ma in piena comunione con la Chiesa di Roma. Il ritorno all’unità piena tra le tre Chiese di ascendenza nestoriana – sostiene il Patriarca nella sua proposta – serve anche a affrontare insieme i pericoli che minacciano la sopravvivenza stessa delle comunità cristiane autoctone in tutto il Medio Oriente.

A livello pratico, la proposta del Patriarca caldeo prevede la rinuncia senza condizioni al titolo patriarcale sia da parte sua che del Patriarca Mar Addai. Tutti i vescovi delle tre Chiese attuali dovrebbero poi riunirsi in un Sinodo unitario per eleggere un unico Patriarca, che poi dovrebbe scegliere come suoi principali coadiutori tre vescovi provenienti dalle tre diverse Chiese «in stato di fusione». Andrebbero messe da parte le auto-definizioni «etniche» che contraddistinguono attualmente sia la Chiesa caldea che quella assira: la «nuova» Chiesa si chiamerebbe semplicemente Chiesa d’Oriente, universale e aperta a tutti, senza cedimenti a riduzionismi «nazionalisti». Un Sinodo generale programmatico, aperto anche ai laici, dovrebbe poi stabilire la tabella di marcia per implementare concretamente la piena unità gerarchica e strutturale tra le tre diverse compagini ecclesiali.

Riguardo al punto nevralgico della comunione con il Vescovo di Roma, il Patriarca caldeo ripete che tale comunione si fonda sulla condivisione della stessa fede e dottrina, attestata anche dalla dichiarazione cristologica comune sottoscritta nel 1994 da Giovanni Paolo II e Mar Dinkha, dove si confessa che la Chiesa Assira d’Oriente e la Chiesa cattolica confessano la stessa fede in Cristo, e si riconosce che le controversie cristologiche del lontano passato erano in gran parte dovute a malintesi. Quella di Roma – ricorda il Patriarca Louis Raphael, rifacendosi alla ecclesiologia condivisa tra Oriente e Occidente per tutto il primo millennio cristiano – è la Prima Sedes, e la piena comunione con il Vescovo di Roma non comporta uno «scioglimento» della propria identità ecclesiale, ma aiuta a custodire «l’unità nella molteplicità», mantenendo la propria fisionomia a livello liturgico, canonico, disciplinare e giurisdizionale. Tutelando quindi anche le prerogative del Patriarca e del Sinodo.

Il Patriarca caldeo Louis Raphael I già nel settembre 2013 aveva invitato il Patriarca assiro Mar Dinkha a iniziare un cammino di dialogo per ripristinare la piena comunione ecclesiale tra la comunità cristiana caldea e quella assira. All’inizio di ottobre 2013, Mar Dinkha aveva risposto positivamente all’appello, suggerendo la creazione di un “Comitato congiunto” come strumento per affrontare insieme le urgenze condivise dalle due Chiese sorelle, che hanno in comune lo stesso patrimonio liturgico, teologico e spirituale.

In tempi recenti, l’iniziativa del Patriarca caldeo ha un precedente suggestivo ed eloquente, anche per i suoi esiti. Alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, il Patriarcato greco-cattolico melchita di Antiochia aveva messo in cantiere un progetto di piena riunificazione sacramentale con il Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia, pur mantenendo la piena comunione con la Chiesa di Roma. Tutto aveva preso avvio dall’anziano vescovo melchita Elias Zoghby, già noto per i suoi appassionati interventi pro-unità al Concilio Vaticano II, che nel febbraio 1995 aveva scritto una professione di fede in due punti, in cui confessava di credere «in tutto ciò che insegna l’Ortodossia orientale » e di essere nel contempo in comunione «con il Vescovo di Roma, nei limiti riconosciuti al Primo dei Vescovi dai Santi Padri d’Oriente nel Primo Millennio e prima della separazione». Pochi giorni dopo, tale professione di fede era stata sottoscritta da Georges Khodr, metropolita ortodosso di Byblos: «Io ritengo – aveva scritto Khodr – che la professione di fede di monsignor Elias Zoghby ponga le condizioni necessarie e sufficienti per ristabilire l’unità delle Chiese ortodosse con la Chiesa di Roma». Su tale base, il progetto di ristabilimento dell’unità «antiochena» tra le due Chiese trovò l’appoggio di quasi tutti i vescovi greco-melchiti. Mentre dalla Santa Sede arrivarono nel settembre del ’96 sollecitazioni alla cautela. Secondo i collaboratori del Papa, Roma poteva prendere in considerazione le eventuali decisioni «antiochene» solo se esse non avessero prodotto conflitti e tensioni in seno all’Ortodossia. Si voleva evitare l’accusa di creare divisioni tra le Chiese ortodosse, visto che la Chiesa di Roma aveva già iniziato il dialogo teologico per favorire un riavvicinamento con tutta l’Ortodossia nel suo complesso. E in effetti, alla fine furono proprio i vescovi del Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia riuniti in Sinodo a congelare il progetto, ribadendo che il dialogo bilaterale con i «fratelli» greco-melchiti «non poteva essere separato dal ristabilimento della comunione tra la Sede di Roma e tutta l’Ortodossia».

È probabile che anche la proposta del Patriarca caldeo Louis Raphael I sia destinata a trovare opposizioni insormontabili soprattutto in seno alle comunità caldee e assire della diaspora, dove la rivendicazione dell’elemento etnico-nazionale assiro e caldeo è stato coltivato e fomentato anche da alcuni esponenti della gerarchia ecclesiastica come fattore identitario. Nondimeno, la proposta del Patriarca caldeo ha il merito di provare a lanciare il cuore oltre l’ostacolo, riproponendo – come ha fatto più volte anche Papa Francesco – l’esperienza di comunione del primo millennio cristiano come modello a cui guardare per camminare concretamente verso il ripristino della piena comunione sacramentale tra Chiese sorelle.

Di Gianni Valente per Vatican Insider (La Stampa)

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